PALERMO – Armi da fuoco di ogni tipo, attrezzi da scasso, chiavi adulterine ed auto utilizzate per raggiungere gli obiettivi da rapinare. La banda del buco non si faceva mancare nulla. L’occorrente per mettere in pratica quanto pianificato nella loro sede logistica, l’autolavaggio di piazzetta Cairoli 5, veniva periodicamente integrato di nuovi attrezzi e di nuovi mezzi, specie se il colpo doveva essere messo a segno fuori dai confini palermitani.
La sezione investigativa della squadra mobile ha infatti accertato che i nove arrestati avevano progettato soltanto una rapina a Palermo. Quella alla gioielleria “Le Cadeaux” di via Ferdinando Li Donni, in pieno centro. Colpo che andò in fumo, con tanto di arresto dei due artefici, i fratelli Simone ed Alessandro Arnone, di 36 e 27 anni, perché arrivò la polizia. I movimenti della banda del buco, infatti, difficilmente passavano inosservati. Picconate, rumori ambigui in orario pomeridiono e sopralluoghi sul posto, hanno fatto sfumare più volte quanto pianificato.
Compreso l’episodio della gioielleria: i due furono colti in flagrante mentre stavano praticando il foro sulla parete del locale adiacente. In tre, invece, entrarono in azione a Naro, in provincia di Agrigento. In quel caso la banda andò in trasferta e la rapina alla succursale della banca Monte Paschi di Siena di piazza Garibaldi andò a buon fine. I malviventi avevano sfondato il muro di un’attività commerciale che si trovava accanto all’istituto di credito, poi erano passati all’attacco. A volto coperto, ma disarmati, minacciarono il direttore e tre dipendenti, impedendo loro di reagire. Una tecnica che si è poi ripetuta all’agenzia Monte dei Paschi di Siena al Villagio Mosé – ad Agrigento – e alla banca Intesa San Paolo di Favara in via Kennedy.
Le soffiate della guardia giurata Tomamso Cipolla (nella foto), avevano invece contribuito all’organizzazione delle rapine a una tabaccheria di Bagheria e a un’agenzia Unicredit della stessa cittadina, di cui lo stesso Cipolla – agli orresti domiciliari per concorso esterno in associazione a delinquere – è originario. Era lui a riferire ai suoi complici l’orario dei controlli presso le attività finite nel mirino della banda, ma anche in questi due casi, i colpi andarano male.
Ma i malviventi si “facevano coraggio” tra loro. Nelle intercettazioni uno di loro dice di “essere preoccupato”, “puo’ essere che qualcosa non va”. E l’altro rispondeva: “Devi stare tranquillo, qui siamo una famiglia”.