PALERMO – “Per l’educazione che gli abbiamo dato hanno sbagliato. Non si fa sesso di gruppo e per strada, certe cose le fanno gli animali”, dicono le madri degli imputati condannati per lo stupro del Foro Italico.
“Quando tutto sarà finito” i loro figli “riceveranno la nostra punizione di madri, ma una cosa è certa: non sono degli stupratori”.
Né il carcere dove i figli sono rinchiusi da quasi un anno e mezzo, né la condanna hanno scalfito le loro convinzioni. Loredana Mamone, la mamma di Gabriele Di Trapani non solo è certa che suo figlio sia innocente, ma pure che la verità emergerà nel processo di appello (in primo grado, pochi giorni fa, è stato condannato a 7 anni).
Stesso concetto esprimono Ornella Valenti e Francesca Mortillaro, madri di Angelo Flores e Christian Maronia che si fanno portavoce del pensiero di tutti gli altri imputati giudicati colpevoli per la violenza subita dalla ragazza diciannovenne nel cantiere abbandonato del Foro Italico nell’estate dell’anno scorso.
Non cercano rivalsa e citano la vittima in pochi passaggi. Chiedono di potere raccontare la loro verità che è diversa da quanto hanno stabilito i giudici del Tribunale di Palermo. Per un anno e mezzo hanno assistito al racconto della vicenda e ritengono che sia arrivato il momento di difendere i loro figli. “Sono spenti da quando sono lì dentro ed è normale che noi siamo comunque preoccupate per loro”, dicono.
“Non doveva farsi coinvolgere – aggiunge Mamone -, è stata la ragazza a trascinarli, ma lui doveva andare via. Il giorno che i carabinieri sono venuti a prenderlo, sono stati gentilissimi, mi ha detto subito che lei era consenziente”.
Anche la madre all’inizio ha stentato a credere alla versione del figlio. Non per sfiducia, ma solo perché colta di sorpresa, frastornata: “In quel momento ho odiato mio figlio. Mi dicevano che c’era il video, poi Gabriele mi ha spiegato le cose, anche l’avvocato. Sono convinta che un giorno sarà dichiarato innocente, ma nel frattempo il carcere gli avrà insegnato qualcosa?”.
Un concetto rimarcato dagli avvocati che si erano rivolti ad alcune associazioni per avviare dei percorsi per uomini maltrattanti. Al di là dell’innocenza dei loro assistititi, che hanno sostenuto nel corso del processo, gli imputati usavano un linguaggio disgustoso nei confronti della diciannovenne. Nessuna associazione, però, ha accettato di seguirli.
Il ragionamento va oltre il tema della colpevolezza (negata in ogni passaggio della conversazione) per approdare nella paura che i ragazzi detenuti di oggi possano diventare uomini peggiori per colpa del carcere. Un cattivo pensiero che sfiora la donna e passa presto.
Fino ad ottobre Di Trapani non usciva dalla cella. Il clima era di forte tensione, ora si va rasserenando. La madre pensa al futuro, all’errore commesso dal figlio e a ciò che lo attende. Prima di finire nei guai era uno studente del Nautico. E da qui che spera e crede che possa ripartire.
Maronia invece dava una mano al padre nel negozio di frutta e verdura, e nella panineria della madre. In tasca ha un attestato di saldatore, fuori dal carcere c’è “una fidanzata che lo aspetta e che non ha mai dubitato di lui. Io sì – ammette Francesca Mortillaro -, non sai cosa pensare quando i carabinieri vengono a bussare a casa tua. Mi si è girato il cuore. Gli ho chiesto se aveva fatto questa cosa, mi ha detto ‘ti giuro, non è stato uno stupro. Mi ha raccontato tutto quello che è successo e io gli credo”.
La donna ricorda le parole che pronunciò il marito: “Se hai fatto una cosa del genere non ti voglio vedere più in faccia. Poi ho capito che non era vero, mio figlio è innocente“. Mortillaro racconta l’inziale difficoltà a trovare un avvocato (“diversi hanno rifiutato, poi fortuna c’è chi ha accettato, che Dio li benedica”) e lo stato d’animo del figlio: “Sta male, si sente in colpa per ciò che è accaduto, dice sempre che io non l’ho cresciuto così”.
È il rapporto sessuale di gruppo, in sette con una ragazza per strada, che le madri giudicano sbagliato. Nessuno però vede in ciò che è accaduto qualcosa per cui i figli meritano una condanna. Tutto sarebbe avvenuto con il consenso della vittima, anche la scelta di filmare la scena con il cellulare: “Mio figlio ha detto subito ai carabinieri del video – spiega Ornella Valenti, mamma di Angelo Flores -, è stato lui a sbloccare il telefonino e a consegnarlo ai carabinieri. C’è un altro video in cui ha dei rapporti sessuali con la ragazza, mi ha detto che era sempre lei a chiedere di filmare”.
Valenti aggiunge che suo figlio “mi aveva detto che aveva conosciuto una ragazza, che il suo fidanzato la maltrattava, ma che non si voleva affezionare. Si frequentavano, tanto che avevano avuto anche rapporti consensuali”.
Angelo Flores prima di finire in carcere lavorava per una ditta di marmi. La madre ricorda i giorni difficili vissuti dalla sua famiglia e le minacce sui social: “Hanno pubblicato la mia foto e quella degli altri miei figli, mi definivano cagna e prostituta, ma che c’entrava tutto questo odio. Ora per fortuna il clima è cambiato, la gente ha capito”.
E il video? “Doveva tenerlo per sé, scambiarsi queste cose per vantarsi con gli amici no… Mio figlio deve pagare se ha sbagliato e io ho fiducia nella giustizia”. Ma deve pagare “per ciò che ha realmente fatto”, questo è il punto.
Nei giorni scorsi la condanna. Ora si attendono le motivazioni, mentre si conoscono già quelle della Corte di appello che ha condannato il più piccolo del gruppo alla pena più pesante. I giudici hanno parlato di “azione bestiale”.