La casa confiscata al boss del clan Cappello: si va in Cassazione

La casa popolare confiscata al boss del clan Cappello: si va in Cassazione

Udienza per il 56enne Santo Strano

CATANIA. “Facci i palemmu”, al secolo Santo Strano, 56 anni, noto boss del clan Cappello di Catania, non ci sta a consegnare allo Stato la sua casa popolare ex Iacp. E fa ricorso in Cassazione contro la confisca evidenziando, tra l’altro, che quella casa è pure soggetta a un pignoramento. È stata la Corte d’appello di Catania a giugno a confermare il congelamento del bene.

Il ricorso

Ma la difesa di Strano, l’avvocato Francesco Antille, ha già presentato ricorso in Cassazione. Anche perché, oltre alla casa, la confisca riguarda pure degli orologi di valore. In attesa del pronunciamento della Corte, va specificato, la confisca non è definitiva. E in aula si andrà a gennaio. Il sequestro era stato compiuto dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del comando provinciale di Catania.

Il sequestro

Strano è ritenuto tra i capi del pericoloso e attivissimo gruppo dei Salvo, egemone nella zona del villaggio Sant’Agata. Farebbe parte del gruppo che sarebbe stato capeggiato da Giuseppe Salvo, noto anche come “Pippu u carruzzeri”. All’inizio a Strano erano stati sequestrati anche conti correnti, carte postepay e il negozio della moglie. Ma questi beni gli sono stati restituiti.

La misura personale

Il ricorso in Cassazione sarebbe stato presentato perché la sentenza d’appello, per fonti di difesa, non avrebbe risposto a questioni di diritto. Questioni che, secondo quanto emerso da fonti vicine alla difesa, potrebbero finire per richiedere un pronunciamento degli ermellini a Sezioni unite.

Una di esse sarebbe legata all’attualità della misura, considerato che Strano è detenuto da otto anni ininterrottamente e non risulta che abbia commesso reati da quando è in carcere. Inoltre, anche per questo, bisognerà valutare la sua “pericolosità sociale”. La difesa ha impugnato sia la misura patrimoniale che quella personale.

La figura di Strano

Santo “facci i palemmu”, secondo i pentiti, avrebbe “ricoperto il ruolo di responsabile del gruppo del clan Cappello operante in via della Concordia di Catania”. Avrebbe deciso “le strategia operative, l’approvvigionamento della sostanza stupefacente e le modalità del recupero illegale di ingenti crediti”. E sarebbe stato il “trait d’union sia con il gruppo operante nei territori di Catenanuova-Centuripe-Regalbuto sia con il capo dell’organizzazione mafiosa Salvatore Cappello”. Si sarebbe rapportato con lo stesso boss Cappello.


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