PALERMO – La scoperta è inquietante. I poliziotti che sono andati ad arrestare Giuseppe D’Amore (gli indagati sono sette) hanno trovato una mitragliatrice. L’insospettabile titolare dal bar che porta il suo cognome in viale Resurrezione nascondeva in camera da letto una Skorpion con matricola abrasa e munizioni. Con questo modello di arma fu massacrata la scorta di Aldo Moro in via Fani.
Il ritrovamento durante la perquisizione riporta alla memoria le intercettazioni già note nei mesi scorsi. Sono state registrate le conversazioni fra due anziani boss tornati in carcere: Michele Micalizzi di Tommaso Natale e Tommaso Inzerillo di Passo di Rigano. “Se hai bisogno eventualmente di attrezzatura, cose, noi ne abbiamo”, diceva Micalizzi, a Inzerillo.
Quest’ultimo, uno degli scappati tornati dagli Usa, diceva: “Qua noi dobbiamo stare in pace”. Un quieto vivere voluto anche da Micalizzi: “Diciamo che abbiamo avuto l’esperienza… quando è stato, diciamo non potrebbe mai più succedere e non deve succedere più”. “No, non deve succedere”, rilanciava Inzerillo.
La mitragliatrice trovata a casa di D’Amore fa parte dell’arsenale di cui parlava Micalizzi? I mandamenti mafiosi sono diversi, ma nel corso delle indagini sono emersi numerosi punti di convergenza. Non solo per la vicinanza geografica, ma anche per i comuni interessi che li legano.
Il procuratore Maurizio de Lucia, l’aggiunto Marzia Sabella e i sostituti Giovanni Antoci, Francesca Dessì e Giorgia Righi tracciano la figura di D’Amore. Si sarebbe dato un gran daffare mettendosi a disposizione del capo mandamento di Resuttana Salvatore Genova e del reggente della omonima famiglia mafiosa Sergio Giannusa. D’Amore sarebbe stato un tassello fondamentale della rete di comunicazione riservata. uno degli incontri organizzati grazie al suo aiuto avrebbe coinvolto proprio l’anziano Micalizzi, colui che parlava delle armi.