Don Cozzi: il mio incontro con Giovanni Brusca

“Cosa mi ha detto Giovanni Brusca durante il nostro primo incontro…”

Due uomini, faccia a faccia. Uno era il carnefice della mafia.

PALERMO- Un simbolo concreto del male assoluto, dell’idea che ne abbiamo. Ma don Marcello Cozzi, quando ha incontrato Giovanni Brusca – il carnefice del piccolo Giuseppe Di Matteo e di tanti altri – non è fuggito. E come ha fatto a resistere al cospetto di un sanguinario seguace della mafia, nonché monumento ragguardevole alla ferocia?

“Il mostro si smaterializza, quando lo guardi negli occhi – dice don Marcello – come mi ha insegnato Agnese Moro, figlia di Aldo. Resta una persona che ha compiuto azione mostruose. A quel punto, comincia la sfida”.

Don Marcello, lo capisci appena incrociandolo, è un sacerdote dolce e tenace. Di quelli che vorresti sempre a portata di preghiera, magari per le emergenze. Ha scritto il libro, al centro di un caso. Si intitola: “Uno così. Giovanni Brusca si racconta” (Edizioni San Paolo).

Incontro e ‘pregiudizio’

Lo abbiamo osservato e ascoltato alla presentazione palermitana, nel centro studi ‘Paolo e Rita Borsellino’, che svolge la sua opera di informazione e riflessione. Con lui, il presidente del Centro, l’ex pm Vittorio Teresi, e il giornalista di Repubblica, Salvo Palazzolo.

Siamo andati con una forma di pregiudiziale respingimento, lo confessiamo. No, nessuna luce di pagine, di voce, o di ascolto, niente fessure per l’odio. Eppure, le parole di don Marcello hanno aperto una breccia nel granito di una comprensibile ripugnanza per l’oggetto del suo libro. Che non giustifica, non scusa, non indulge, ma ha il coraggio di aprire porte indicibili.

Le argomentazioni di un sacerdote impegnato da anni nelle zone più buie dell’esistere – mentre al presidente Teresi è toccato ricordare il complesso difficilissimo di reticoli da mettere insieme, quando c’è di mezzo un collaboratore di giustizia – hanno offerto una prospettiva inedita. Uno sguardo profondamente umano.

Il mostro che non c’è

Da tanti anni conosco Agnese Moro – spiega don Marcello – che va in giro per l’Italia per un percorso di giustizia riparativa. Ai miei inizi, lei mi disse: ‘ti accorgerai anche tu di quello che è successo a me, che andrai incontro a un mostro, poi il mostro si smaterializza, avrai davanti una persona come noi'”.

“Così l’approccio cambia. Ci sono persone che hanno fatto azioni mostruose. Questo è un grande carico di responsabilità per la società, perché quella persona mi porta a pormi tanti perché”.

Il primo incontro

Ed ecco la narrazione del primo incontro con Giovanni Brusca, in una trama al centro di polemiche: “Si sedette davanti a me. Abbiamo iniziato a discutere tanto e sono tornato con molti pensieri, ma ho fatto una cosa che faccio sempre, cioè andare, avendo davanti i volti delle vittime, per non cadere nella trappola del ‘lasciamoci il passato alle spalle'”.

“Brusca – ricorda don Marcello – mi disse di un colloquio con Rita Borsellino. Si videro in un luogo segreto. Lui raccontò: ‘ci siamo incontrati, lei non ha mai fatto domande sul fratello, sulle stragi, ha chiesto soltanto della mia famiglia…’. Brusca, ripercorrendo l’episodio, si prese la testa fra le mani ripetendo tre volte: ‘ma quanta umanità…'”.

Proprio qui, poco distante dal tavolo dei relatori, Rita Borsellino venne ricoperta d’affetto, in occasione della sua morte, da molti che accorsero alla camera ardente. Ed è come se, richiamati da quella citazione, i suoi occhi azzurri lampeggiassero, vicino al cuore di chi non l’ha dimenticata. Accanto alla speranza di chi pensa che gli occhi della coscienza limpida siano sempre destinati a splendere, oltre il cuore di tenebra. (ha collaborato Giacomo Impastato)


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