PALERMO – Ventisei anni dopo l’omicidio di Mico Geraci la Procura di Palermo chiede di processare i fratelli Salvatore e Pietro Rinella. Sarebbero stai i due mafiosi di Trabia a fare “una cortesia” a Bernardo Provenzano ordinando il delitto del sindacalista assassinato l’8 ottobre 1998 a Caccamo.
All’udienza preliminare, davanti al giudice Lorenzo Chiaramonte, l’accusa è stata rappresentata dal pubblico ministero Giovanni Antoci che ha condotto le indagini assieme a collega Bruno Brucoli, coordinati dal procuratore aggiunto Marzia Sabella.
Le parti civili
Si sono costituiti parte civile la moglie e i figli del sindacalista assassinato, assistiti dagli avvocati Giuseppe Crescimanno e Armando Sorrentino, la Uil con l’assistenza dell’avvocato Ettore Barcellona, il Comune di Caccamo, rappresentato dall’avvocato Fabio Trizzino, il Centro studi Pio La Torre con l’avvocato Francesco Cutraro, e la Regione siciliana.
“Mico Geraci ostacolava la mafia”
L’indagine dei carabinieri del Nucleo investigativo del Reperto operativo del Comando provinciale, avrebbe fatto emergere che i mafiosi di Caccamo chiesero a Provenzano di sbarazzarsi del sindacalista della Uil e politico che ostacolava gli interessi di Cosa Nostra: dalle concessioni edilizie ai contributi agricoli, dal piano regolatore alla distribuzione dell’acqua.
Geraci stava per candidarsi a sindaco – dopo avere lasciato la Dc ed essersi avvicinato a Francesco Dolce e Beppe Lumia dell’Ulivo – e la sua elezione veniva vista come un rischio per gli interessi della mafia che controllava la macchina comunale.
“Giuffrè si oppose”
Provenzano avrebbe dato l’ordine di ucciderlo, scavalcando il capo mandamento di Caccamo Nino Giuffrè che si era opposto perché temeva la reazione delle forze dell’ordine. “Lo fecero a mia insaputa”, disse il boss una volta divenuto collaboratore di giustizia. Negli ultimi anni si sono aggiunte le dichiarazioni di altri tre collaboratori di giustizia: Emanuele Cecala, Andrea Lombardo e Massimiliano Restivo
I Rinella scelsero come killer Filippo Lo Coco e Antonino Canu. Attesero che Geraci rientrasse a casa, di sera, per sparargli sei colpi di fucile. Qualche anno dopo Lo Coco e Canu furono anche loro assassinati. Erano considerati due cani sciolti.