ROMA – Il Csm incalza, con l’apertura di una pratica, l’ex procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, a decidere sul suo ritorno in magistratura, dopo la mancata elezione in Parlamento. Il leader di Rivoluzione civile è l’unico tra le toghe non elette a non aver ancora chiesto a Palazzo dei Marescialli di essere richiamato in servizio. E una circolare del Csm prevede che in caso di silenzio dell’interessato si provveda d’ufficio.
La notizia dell’apertura della pratica da parte della Terza Commissione, che riguarda nel complesso i magistrati che avevano chiesto l’aspettativa per ragioni elettorali, è stata data dal vice presidente del Csm Michele Vietti durante il plenum e in risposta al laico del Pdl Nicolo Zanon, che richiamandosi alla circolare, aveva sollecitato il Csm a intervenire su Ingroia, la cui aspettativa é scaduta l’11 marzo scorso. Il ricollocamento in magistratura dell’ex pm di Palermo si annuncia tutt’altro che facile: se è pacifico che per cinque anni non possa svolgere le funzioni di pubblico ministero e dunque debba necessariamente fare il giudice, per lui si pone un problema di incompatibilità territoriale di difficile soluzione. La legge stabilisce infatti il divieto di tornare a indossare la toga nel territorio in cui il magistrato si è candidato e Ingroia si è presentato in tutte le circoscrizioni come capolista di Rivoluzione civile.
Se si dovesse applicare alla lettera la legge, si arriverebbe al paradosso che l’ex procuratore aggiunto di Palermo non potrebbe essere ricollocato in ruolo in nessuna zona del Paese; ma a Palazzo dei Marescialli già si propende per un’interpretazione più elastica che limiterebbe l’incompatibilità territoriale alla Sicilia. Qualunque fosse la decisione di Ingroia, una cosa è certa: sia che tornasse a indossare la toga sia che optasse per un incarico fuori ruolo, non potrebbe continuare a svolgere attività politica e dunque restare leader di Rivoluzione civile, a pena di incorrere in un provvedimento disciplinare.