Mafia, piovono arresti | nel regno del boss - Live Sicilia

Mafia, piovono arresti | nel regno del boss

Il boss Alessandro D'Ambrogio

Maxi operazione dei carabinieri del Comando provinciale di Palermo. Ascolta i dialoghi tra boss e trafficanti. Guarda IN ESCLUSIVA il video in cui gli abitanti di Ballarò rendono omaggio a D'Ambrogio durante una processione.

PALERMO – In carcere è finito il padrino emergente della Cosa nostra palermitana. Quell’Alessandro D’Ambrogio più volte citato nelle recenti inchieste antimafia. Assieme a lui un provvedimento di fermo eseguito dai carabinieri del Reparto operativo e del Nucleo investigativo del comando provinciale di Palermo raggiunge in totale una trentina di persone. Alcune misure sono ancora in fase di applicazione. L’inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dal sostituto Caterina Malagoli. C’è un capitolo droga affidato all’aggiunto Teresa Principato.

Dal mandamento di Porta Nuova, di cui era il signore incontrastato, D’Ambrogio era riuscito a conquistarsi rispetto e considerazione spingendosi da un lato fino in corso dei Mille e a Brancaccio e dell’altro a Pagliarelli e Uditore. La gente arrivava in processione nella sua agenzia di pompe funebri nel popolare quartiere di Ballarò. Per vendere lo sfincione alla festa rionale, per piazzare il banchetto con le sigarette di contrabbando, per recuperare il bottino di un furto. Per ogni cosa serviva il benestare di D’Ambrogio che ha costruito il consenso sociale sfruttando la miseria, culturale ed economica, nella zone popolari del centro di Palermo. Il mandamento di Porta Nuova, storicamente uno dei più potenti della città, comprende le famiglie mafiose di Palermo Centro, Borgo Vecchio e della stessa Porta Nuova. Ingloba anche i tre mercati della città: Capo, Vucciria e Ballarò. E lambisce parte della Zisa.

Dopo l’arresto di Tommaso Di Giovanni, il macellaio di via Silvio Pellico, e di Nicola Milano, lo scettro è passato a D’Ambrogio che in carcere vi ha già trascorso un decennio. Dal 2011 era di nuovo in libertà. E tutti sapevano che sarebbe diventato il capo. “Ma che ci devi dire, gli devi dare un bacione e basta… appena arriva gli dai un bacione da parte nostra, di tutti quelli che siamo qua e basta”, diceva un affiliato del vicino mandamento di Pagliarelli. E rispetto si era conquistato anche a Brancaccio se è vero, come è vero, che Nicola Milano di lui diceva: “Quando tu hai qualche problema qualche bisogno parla con noialtri e vediamo noialtri che facciamo, quello (D’Ambrogio ndr) a Brancaccio è la persona giusta…”.

Al suo fianco D’Ambrogio avrebbe chiamato Antonino Ciresi, l’anziano boss finito nei guai per l’estorsione ai danni dello chef Natale Giunta, a cui avrebbe affidato il compito di dirigere la famiglia di Borgo Vecchio e di raccogliere il pizzo.

Conciliante con in suoi affiliati, ma deciso con le vittime del racket. Al titolare di un disco pub di Isola delle femmine, convocato in una magazzino nella zona di corso Olivuzza, D’Ambrogio strinse le mani al collo e disse: “Stai attento a come ti muovi altrimenti ti butto sugli scogli a te e ai tuoi figli”. Il pizzo in quell’occasione è stato di 70 mila euro.

Factotum del capo era, secondo l’accusa, Antonio Seranella. Fu lui il primo ad accogliere il nuovo capo il giorno della sua scarcerazione. Lo affiancava in tutti i suoi spostamenti e negli affari curati da Attanasio La Barbera, Giuseppe Civiletti, Giacomo Pampillonia, e Giuseppe Di Maio.

Pizzo, ma soprattutto droga. D’Ambrogio aveva capito che le sole estorsioni non bastavano più. E così aveva organizzato un cartello per importare dall’estero e riempire di droga Palermo e non solo. E aveva chiesto la collaborazione degli uomini di corso dei Mille. Su tutti: Vincenzo Ferro, Pietro Tagliavia, Francesco Scimone e Giovanni Alessi. Erano loro, tramite figure minori come Marco Chiappara e Daniele Favata a trascinare negli affari le famiglie di Pagliarelli e Uditore, a creare canali di smistamento che hanno raggiunto Marsala, Mazara Del Vallo, Caltanissetta e Calatabiano, nel Catanese. Sul fronte trapanese era stato siglato un patto di ferro con Salvatore Asaro, Umberto Sisia.

 

 


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