PALERMO – Il 6 giugno scorso il Tribunale di Palermo dichiara il fallimento di Italiacom. L’avventura della compagnia telefonica Made in Sicily giunge al capolinea. Una ventina di giorni prima il suo fondatore, Salvo Castagna, aveva ceduto le quote. “Solo sulla carta”, però, dicono gli investigatori.
Agli atti dell’inchiesta ci sono anche delle recentissime intercettazioni. Il telefono dell’imprenditore, infatti, era controllato. Le conversazioni, scrivono i pm, “convergono nell’intenzione di Castagna di occultare dall’attivo fallimentare i macchinari e la merce ancora di proprietà di Italiacom”. Castagna è indagato per bancarotta fraudolenta, truffa ed evasione fiscale. Accuse alle quali finora ha scelto di non replicare.
La sua voce, il 16 giugno scorso, è rimasta impressa nei nastri magnetici, mentre chiedeva al suo interlocutore “una cosa, il magazzino per quanto riguarda le cose?”. Le cose sarebbero “le attrezzature, computer, server, macchine”. Tre giorni dopo Castagna dava indicazioni ad un altro uomo: “Comu ti l’ha diri che dda banna s’hanna a pigghiari i cuosi…. si devono mettere in un posto… perché mi ha detto l’avvocato dice il curatore giorno 2 non so quando si va a pigghia tutti i cuosi, se c’è un posto semplice, un magazzino che lo prestano per 15 giorni un mese vanno la e lui si prende tutte cose… vediamo se c’è qualcuno che ci può prestare un magazzino, una stanza, un appartamento, un pirtusu”.
Castagna, dunque, avrebbe voluto portare via i server che, secondo l’accusa, potrebbero custodire la prova della truffa ai danni dei clienti Italiacom. Un capitolo delle indagini riguarda, infatti, i prelievi effettuati dalle carte di credito di diversi cittadini. Quanti? Finora sul tavolo del procuratore aggiunto Dino Petralia e del sostituto Claudia Ferrari, ne sono arrivate una manciata. L’ipotesi, però, è che i truffati potrebbero essere centinaia per complessivi di 491 euro giustificati con le voci “adeguamento contrattuale” e “mancata restituzione del modem/router”.
Le indagini proseguono. Tra i punti sotto esame c’è certamente il passaggio delle quote di Italiacom, intestate a Castagna e alla ex compagna, Alba Cinà, pure lei indagata. Ad acquistarle, il 20 maggio scorso, è stata la titolare di un negozio di abbigliamento e biancheria di Palermo. I pm ritengono che potrebbe trattarsi di una sorta di prestanome. Il passaggio di quote sarebbe stata l’ultima tappa del percorso imprenditoriale che i magistrati descrivono “alimentato da una incontenibile smania di ricchezza e notorietà, presentandosi come imprenditore di successo, falsificando documenti contabili e bilanci per creare un’apparente situazione di solidità e floridezza economica”. Alla fine Castagna sarebbe riuscito ad ampliare “l’ambito di operatività delle sue società senza preoccuparsi di acquisire le autorizzazioni necessarie”. A cominciare da quella per piazzare i ripetitori telefonici a Monte Pellegrino.
Non è tutto perché i pm ritengono che Castagna negli ultimi mesi “abbia incrementato l’attività delinquenziale da un lato nel tentativo di reperire con facilità liquidità economiche, forse da reinvestire in nuovi fantasiosi progetti imprenditoriali o più semplicemente per mantenere un elevato tenore di vita”. Ci sono tanti passaggi economici che non convincono. Tra tutti, due bonifici eseguiti nel settembre 2012 per l’importo rispettivamente di 55 e 100 mila euro. Erano stati registrati come pagamenti di forniture. Ed invece risulterebbe il passaggio del denaro dal conto di Italiacom su quello personale di Castagna alla voce “Acconto soci/utili”. Una parte dei soldi sarebbe stata utilizzata “per l’acquisto presso una nota gioielleria palermitana di tre orologi di lusso (Rolex) e un prezioso”. Castagna e la Cinà sono andati nel negozio. Hanno scelto la merce e chiesto di metterla da parte. Fu poi una terza persona a saldare il conto con un assegno circolare.