PALERMO – Ha avuto finora due anni di tempo per compierla, ma non ci è riuscito. Adesso, se Rosario Crocetta vorrà restare “in sella”, la rivoluzione dovrà farla davvero. Anche se questa rivoluzione, se avverrà, non porterà il suo nome se non nella porzione di locandina destinata ai co-protagonisti. Niente di più. Decide Roma. Decide Renzi. Per carità, insieme al governo regionale, certamente. Un governo però per nulla autonomo. “Credo – ha ammesso infatti l’assessore all’Economia Baccei – che la strada per salvare i conti sia una sola. Non vedo alternative”. Una strada da percorrere in appena quattro mesi. Settimane che verranno costellate da ostacoli e trappole. Insidie e problemi “tecnici”. La rivoluzione dei quattro mesi, insomma, è tutto fuorché una certezza.
Un “pacchetto” di riforme. Da inserire nella prossima Finanziaria. O, eventualmente, in disegni di legge autonomi e correlati alla legge di stabilità. Queste le richieste del governo nazionale. Quelle alle quali la Sicilia dovrà dare seguito, per dimostrare di essere, finalmente, autorevole. “Una svolta da ottenere non cancellando il passato – lo slogan usato dai più stretti collaboratori di Baccei – ma costruendo il futuro”. Al di là degli artifici retorici, quello cui il governo regionale dovrà lavorare somiglia invece a una vera e propria opera di demolizione. Da completare entro il 30 aprile. Se ciò non avverrà, gli unici stipendi che potranno essere garantiti saranno quelli dei dipendenti regionali e dell’Ars. Tutti gli altri lavoratori (enti collegati, Teatri, società partecipate, Forestali) si troveranno in mezzo a una strada.
“Serve che tutti facciano un passo indietro per tenere su la baracca”, insistono dagli uffici di gabinetto di Baccei. Ed eccoli i passi – svelti, data la brevità della parentesi concessa dall’esercizio provvisorio – che dovrà compiere l’esecutivo di Crocetta per poter “guardare negli occhi” Renzi e compagni. Interventi che non risparmieranno ad esempio il personale della Regione.
Regionali e partecipate
“Gli interventi sul personale regionale, – si legge nel Documento di programmazione economica e finanziaria approvato l’altroieri in giunta – prevedono la riduzione del personale attraverso il prepensionamento (attraverso l’utilizzazione del sistema pre-Fornero, ndr), la riduzione delle strutture dirigenziali, la revisione della pianta organica e del sistema degli incentivi”. Le pensioni verranno adeguate alle norme nazionali. Mentre non è esclusa nemmeno, ad esempio, l’abolizione della clausola di salvaguardia (la norma che garantisce a un dirigente ‘defenestrato’ un livello economico pari alla carica ricoperta in precedenza). Un istituto, del resto, considerato “anacronistico” dalla Corte dei conti. “Tradurremo in provvedimenti – ha annunciato Baccei – i rilievi che negli anni sono stati mossi dai giudici contabili”. E questi ultimi, quasi ogni anno hanno ripetuto la “litania delle partecipate”. Le società mangiasoldi che danno lavoro a settemila persone. E la riforma di queste spa prevede la liquidazione di quelle non considerate “strategiche”, e soprattutto un maggiore controllo sulle aziende attraverso ad esempio il monitoraggio trimestrale delle attività o l’estensione a queste società di alcuni provvedimenti previsti per la macchina regionale (tagli alle spese per gli affitti, ad esempio).
Forestali e spese per beni e servizi
Il riordino del settore prevede il blocco del turn-over, incentivi per l’uscita volontaria e il prepensionamento dei lavoratori. Ma non solo. I forestali saranno utilizzati anche per altre attività (dalla manutenzione delle aree versi all’attività ispettiva sul demanio e il patrimonio). E ancora, oltre a un’ulteriore riduzione delle spese, il governo prevede la istituzione della Centrale unica di committenza. Un centro per gli acquisti unico per la Regione. Il governo poi rivedrà “gli spazi” in cui dovranno muoversi i regionali. Verrà introdotto il criterio previsto da una norma nazionale (garantiti 21,3 metri quadri per ogni lavoratore). Questo consentirebbe alla pubblica amministrazione di recuperare spazi da riutilizzare al posto di edifici per i quali attualmente viene pagato l’affitto. Ovviamente, poi, il primo intervento richiesto da Roma è il mutuo da due miliardi che condannerà i siciliani a pagare i tassi più elevati di Irpef e Irap per i prossimi trent’anni. “Ma il mutuo – ha spiegato Baccei – è un atto di serietà che consentirà di concedere un po’ di liquidità alle casse della Regione”.
Tutto da fare in quattro mesi. “Confido nel senso di responsabilità della politica”, ha detto ieri Baccei. Ma la stessa politica, ad esempio, non più tardi di sei mesi fa si oppose ad esempio alle norme sul pubblico impiego, chiedendo (e ottenendo) lo stralcio di quegli articoli dalla manovra finanziaria. “Se la maggioranza si opporrà alle riforme – ha ammonito l’assessore – se ne assumerà tutte le responsabilità”. E la responsabilità maggiore sarà quella di non poter andare a “battere i pugni” sui tavoli romani. “Senza riforme, quei tavoli non verranno nemmeno aperti” ha ricordato Baccei. Ma cosa chiederebbe la Sicilia al governo nazionale?
Cosa chiederà Crocetta a Roma
Intanto, il riconoscimento delle entrate previste dall’articolo 36 dello Statuto siciliano. Una norma che prevedeper la Sicilia la possibilità din incassare non solo le imposte riscosse nel territorio siciliano, ma anche quelle maturate nell’Isola e materialmente riscosse altrove. Lo Stato al momento riconosce solo il primo tipo di imposte e non le seconde. Il riconoscimento dell’articolo 36 è un cavallo di battaglia di diversi deputati, anche della maggioranza di Crocetta, oltre che del persidente dell’Ars Ardizzone.
Verrà richiesta, poi, la revisione della compartecipazione alla finanza nazionale e quella al sistema sanitario. Riguardo alla Sanità, infatti, la legge finanziaria del 2007, nata nel contesto del Piano di rientro, aveva previsto l’innalzamento della quota spettante alla Sicilia dal 42,5% al 49,11%. In “soldoni”, circa 600 milioni di euro l’anno. Infine, il governo Crocetta chiederà un allentamento del Patto di stabilità, per consentire anche una più veloce spesa dei Fondi europei. Tutto in quattro mesi. Settimane costellate da ostacoli politici e tecnici. E alla fine della corsa, il rischio, fin troppo concreto, del baratro. Cioè del default. Uno spettro già chiaramente indicato oggi dal gruppo di Forza Italia che ha parlato di “cattiveria e accanimento del governo Renzi”, come dimostra il caso dei fondi Pac, e “di complice sciatteria del governo Crocetta”. Mentre il Movimento cinque stelle chiede a gran voce il commissariamento dell’Isola: “Meglio una morte dignitosa che un’umiliante e sfiancate agonia”. Ma l’agonia, se sarà davvero tale, ha già una scadenza: 30 aprile 2015.