PALERMO – Vuoi risparmiare? Nomina nuovi dirigenti esterni. È la nuova regola alla base dell’originale “spending review” di Rosario Crocetta. Il decreto che riguarda il riordino delle società partecipate, infatti, prevede una norma il cui spirito appare in netta controtendenza non solo con alcune normative nazionali vigenti, ma anche con i semplici principi che dovrebbero isprirare il metaforico “buon padre di famiglia”. E, anzi, a guardarlo bene, quel decreto firmato dal governatore rischia di essere persino illegittimo.
Il Piano, come abbiamo raccontato in altri articoli, prevede il mantenimento di due sole società partecipate (Sicilia e-Servizi e Riscossione Sicilia). Mentre per altre si verificherà la possibilità della vendita in un secondo momento. Ma chi guiderà queste società? La risposta è all’articolo 4 del piano di riordino.
“L’amministrazione delle società controllate della Regione siciliana – si legge – è affidata ad un amministratore unico che assorbe le funzioni di direttore generale e dura in carica da un minimo di tre a un massimo di cinque anni”. Ma il bello viene dopo: “L’incarico viene affidato – prosegue l’articolo – o a un soggetto esterno all’amministrazione titolare della partecipazione, o se interno in aspettativa, in possesso di adeguata e comprovata professionalità valutata attraverso procedure di selezione”. Ferme restando le incongnite sulle modalità della “procedura di selezione”, quello che sorprende è la scelta di mettere nero su bianco la decisione di affidare a “esterni” la guida delle spa. Con un costo di gran lunga superiore a quello che si otterrebbe con la nomina di un dirigente interno. Se, infatti, all’esterno andrà per interno l’indennità (come abbiamo spiegato stamattina, questa oscillerà tra i 90 e i 160 mila euro), all’interno andrebbe, tutt’al più, una indennità aggiuntiva di gran lunga inferiore. La maggior parte dello stipendio, infatti, sarebbe già pagato.
E la decisione di Crocetta stride proprio con le notizie di queste ore. Ore in cui il governo sta sottoponendo ai sindacati dei dipendenti regionali un piano massiccio di tagli e prepensionamenti. Per quei lavoratori che, evidentemente, nelle idee del governatore e dell’assessore all’Economia Baccei sono troppi. Ma non abbastanza, evidentemente, per potersi occupare anche delle società regionali (quasi tutte a totale partecipazione pubblica).
Una spending review al contrario. Nonostante il Piano preveda, di fatto, l’abolizione della figura del direttore generale e del Cda. Le aziende pubbliche, quindi, saranno messe nelle mani interamente di una persona. Scelta dalla politica. E messa lì per almeno tre anni a gestire aziende in grado di attrarre commesse e gestire finanziamenti milionari.
Ma anche l’abolizione di cda e direttore generale può apparire, fatti quattro conti, come un semplice “alibi”. Per legge, infatti, i presidenti dei consigli di amministrazione non possono ricevere una indennità superiore ai 50 mila euro. Cifra che scende a 25 mila per i componenti del Cda. Quasi sempre due, oltre al presidente. Un Consiglio, insomma, non costa più di 100 mila euro. E nella maggior parte dei casi (proprio quello di Riscossione Sicilia, ad esempio, dove Antonio Fiumefreddo dichiara di guadagnare 36 mila euro, e circa la metà i consiglieri), questi Consigli non superano i 70-80 mila euro. Meno, insomma, della cifra minima che guadagnerà il nuovo amministratore unico. La metà di quanto guadagneranno gli amministratori delle società più “grosse”.
E, diritto alla mano, non “regge” la spiegazione che il nuovo amministratore assumerà anche le funzioni del direttore generale. Una scelta già “fumosa” dal punto di vista normativo, visto che il codice civile prevede già che l’amministratore unico sia titolare di tutti i poteri, e che possa delegarne alcuni al direttore generale. Con questa norma, la delega potrebbe andare solo… a se stesso. Senza contare che all’amministratore unico verrà corrisposto anche un ulteriore “trattamento di missione”.
Nonostante il “doppio ruolo”, quindi, non è giustificata l’impennata dei compensi. Anche per un motivo molto semplice. Quei tetti sono stati stabiliti per legge. La Finanziaria del 2010, in particolare. Norma ancora vigente. E addirittura richiamata nell’ultima finanziaria di Crocetta, proprio per decidera la “deroga” nei confronti di Riscossione Sicilia. L’unica società ad aver visto “crollare” il tetto degli stipendi, nonostante Crocetta avesse provato a fare lo stesso per altre aziende popolate da fedelissimi (Sicilia e-Servizi, Irfis e Ast).
Quella norma, insomma, è ancora vigente. Ed è una legge. E per questo, servirà una legge per cambiarla. Lo conferma il professore ordinario di diritto commerciale Alberto Stagno d’Alcontres: “Non c’è dubbio che un decreto – spiega – non possa modificare una legge. Per modificare una legge, serve una legge. Per modificare quanto deciso con un decreto, basta un decreto”.
Un nuovo pasticcio all’orizzonte, insomma. Mentre già si accendono le polemiche: “Questa – attacca il deputato del Movimento cinque stelle Giancarlo Cancelleri – è un’altra vergogna targata Crocetta. La norma ‘salva stipendi degli amici’ è solo l’ultimo degli atti di un governo che della spending review ha fatto solo un spot pubblicitario, nessun atto infatti ha fatto seguito ai proclami, anzi le azioni messe in campo vanno in direzione contraria. Ci avevano provato – ricorda il parlamentare grillino – lo scorso anno nella finanziaria e grazie all’intervento del M5S la norma fu cassata già in commissione, ma Crocetta ci tiene così tanto ad agevolare i suoi fedelissimi che adesso interviene addirittura con un decreto che non passerà dal Parlamento. Presenteremo una mozione per impegnare il Governo a ritirare il ‘decreto vergogna’, Crocetta continua a chiedere sacrifici ai siciliani ma tutela le tasche del suo cerchio magico”.