PALERMO – Dopo due anni di attesa sono state soprattutto le polemiche a salutare il ritorno dell’acqua pubblica in Sicilia. Il disegno di legge approvato nei giorni scorsi dalla commissione Territorio e Ambiente dell’Ars ha fatto segnare una profonda spaccatura tra il governo Crocetta e la sua maggioranza. L’assessore all’Energia e ai servizi di pubblica utilità Vania Contrafatto ha preso le distanze dal testo. Cosa che non è andata giù ai componenti Pd della commissione. “Crocetta deve chiarire – hanno affermato a caldo –, dica apertamente se è d’accordo con la maggioranza delle forze parlamentari e con il Pd o se invece la pensa come il suo assessore”.
E sono tanti i punti “caldi” della riforma. A cominciare dalla possibilità che le reti idriche siano affidate direttamente nelle mani dei comuni. Fulcro del disegno di legge è il ritorno alla gestione pubblica dell’acqua, nel solco del referendum del 2011. Secondo le previsioni del ddl, in alternativa alla gestione diretta, i comuni potranno decidere se consorziarsi o creare un altro tipo di ente pubblico. La riforma mette, dunque, la parola fine alla gestione dei privati e al business dell’acqua. Altra novità è il ritorno alla quota minima garantita, così come accadeva sotto la gestione Eas. Ogni persona avrà a disposizione 50 litri giornalieri, quantità che non potrà venire meno neanche in caso di morosità. Stop, quindi, ai distacchi a sorpresa delle utenze, diventati routine sotto la gestione dei privati. A stabilire le tariffe idriche, infine, sarà un’autorità unica regionale, che si esprimerà in base alle proposte che i comuni esprimeranno attraverso le assemblee territoriali, organismo che sostituirà gli Ato in liquidazione.
Ma è proprio sui punti portanti della riforma si è scatenata una valanga di polemiche, con maggioranza e opposizione che hanno accusato il governo di atteggiamento schizofrenico e di mettere i bastoni tra le ruote al processo di ripubblicizzazione del più importante bene pubblico. “Noi contro il ritorno dell’acqua pubblica? Un polverone sollevato soltanto da una parte della maggioranza – si è difeso l’assessore Contrafatto -. È il solito minestrone riscaldato di chi guarda solo agli interessi del loro piccolo comune. La verità è che il disegno di legge è a forte rischio di impugnativa del consiglio dei ministri. Rischio che – ha spiegato l’assessore – la Sicilia non può più permettersi. Se la Regione non si doterà di una normativa c’è il pericolo di perdere almeno 800 milioni di euro, di essere commissariata da Roma e di pagare multe sempre più salate da parte dell’Ue, oltre che restare senza una legge in materia”.
Ma le cose non stanno proprio così secondo il M5S. Anche in caso di impugnativa, ha spiegato il presidente dalla commissione al Territorio e Ambiente Giampiero Trizzino, “verrebbero coinvolte le previsioni relative alla gestione diretta – ha evidenziato –. Resterebbero inalterate, invece, le norme sull’organizzazione delle autorità, e sono proprio queste a garantire la possibilità di utilizzare gli 800 milioni di euro di cui parla l’assessore”.
Ma non è ancora tutto. Nel mirino delle critiche del governo c’è anche e soprattutto la possibilità della gestione diretta dei comuni. “Mi chiedo cosa accadrà ai comuni che non hanno proprie sorgenti, da dove prenderanno l’acqua, e cosa farà chi non ha il depuratore – ha affermato l’assessore Contrafatto -. Non è uno scenario immaginabile la costruzione di un impianto per ogni comune. A ciò si aggiungano le spese per la gestione e la manutenzione degli impianti – conclude -. Questi costi chi li paga?”.
“L’assessore dovrebbe studiare di più – è stata la replica del deputato del Pd Giovanni Panepinto, tra i promotori del ddl -. In Sicilia è in vigore il piano regolatore delle acque che assegna ad ogni comune una dotazione idrica in base al numero di abitanti”.
Una polemica destinata, probabilmente, ad accompagnare tutto l’iter legislativo della riforma, dall’ingresso in commissione Bilancio all’arrivo in Sala d’Ercole. Iter sul quale penderà una doppia spada di Damocle direttamente dalla capitale. Da un lato il pericolo di impugnativa. Dall’altro il rischio di commissariamento. Nelle scorse settimane Palazzo Chigi era stato chiaro: se la Sicilia non dovesse approvare la riforma sulla gestione del servizio idrico integrato entro 90 giorni, interverrà lo direttamente lo Stato con i “poteri sostitutivi” previsti dal decreto “Sblocca Italia”. La sfida all’Ars è stata lanciata. E l’impressione è che sull’acqua la partita sia ancora tutta da giocare.