I bluff del Crocettismo | Province abolite, ma solo in tv - Live Sicilia

I bluff del Crocettismo | Province abolite, ma solo in tv

Capitolo quinto. Ecco la questione delle province, ovviamente sistemata. Ovviamente, solo in tv.

un presidente impresentabile
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PALERMO – La Sicilia ha abolito le Province. Ma solo in tv. Oggi, invece, si riparte. Nella vita reale, ovviamente. Da Sala d’Ercole, per la precisione, dove andrà in scena l’ennesimo tentativo di trasformare il bluff mediatico in uno straccio di riforma. In un – più o meno dignitoso – copiato della legge nazionale. In quel plastico esempio di “impostura” amministrativa: una mano di vernice e quelle che una volta si chiamavano Province si chiameranno Liberi Consorzi. Mentre nel resto d’Italia la chiusura vera dei vecchi enti è stata già avviata con la legge Delrio che il governatore non ha voluto recepire, con un eccesso, forse, di vanità. In fondo le aveva già abolite lui.

Solo all’”Arena” di Massimo Giletti, però. Nei mesi in cui venivano raccontati, nemmeno si trattasse di quei programmi a metà tra l’informazione e la divulgazione per creduloni, i mirabolanti risultati di un governo di facciata. Un po’ come accade per le “ultime rivelazioni” sulle Piramidi o sui Templari. Così, nel pentolone dei bluff, in mezzo a i circa tre miliardi risparmiati, alle molotov che esplodevano ai piedi di Palazzo d’Orleans, ai “Trinacria bond” che avrebbero rimesso in sesto l’economia e insieme alle società mangiasoldi chiuse con un colpo di penna (dall’inchiostro simpatico, evidentemente) ecco la riforma delle riforme: “Siamo i primi in Italia ad abolire le Province”.

E qui, il concetto di “tempo” assume una consistenza solida, la “concretezza” del fallimento. Era la primavera del 2013. Più di due anni fa, quando Crocetta annunciò quel “passo rivoluzionario”. Oggi, invece, Sala d’Ercole si è data appuntamento. Bisognerà riprendere l’esame della legge che abolisce le Province. Ma come, e in questi due anni cosa è successo?

Semplice. La riforma delle Province si potrebbe sintetizzare in quella di un lungo, dannoso, inutile commissariamento. Dalla prima legge approvata due anni fa, quella che sancisce solo un principio generale (cioè che le Province si chiameranno in un altro modo), si è assistito solo alla “chiusura” di giunte e consigli legittimamente eletti dai cittadini, con la sostituzione di fedelissimi del governatore. Commissari “straordinari”, diventati ovviamente “ordinari”. Nonostante qualche strafalcione e tirata d’orecchi rivolta al governatore. È il caso della nomina, al vertice del Libero consorzio di Trapani, dell’ex pm Antonio Ingroia. Una nomina dentro la quale si può trovare il nucleo di una altro “bluff” crocettiano, quello dell’antimafia sbandierata, spalmata come una mano d’antiruggine anche dove non c’è alcun bisogno. Come nel caso, appunto, dell’invio del canaidato premier alle ultime elezioni con Rivoluzione civile. Un incarico che, a detta del presidente, avrebbe finito per favorire le indagini sul latitante Matteo Messina Denaro. Come se il commissario della Provincia fosse un commissario di Polizia. Come se all’ente – commissariato, tra l’altro – spettassero compiti di quel tipo. Ma la vicenda diventa doppiamente “grottesca” quando, quella nomina fondata sulla (sedicente) identità legalitaria dell’esecutivo ha finito per essere “bocciata” dall’autorità anticorruzione. Quella che nel nuovo dialetto siculo-crocettiano potrebbe essere rinominata autorità “antimanciugghia”. Ecco, quella nomina di un amministratore esterno che cumulava più cariche (era anche stato nominato prima commissario, poi amministratore unico di Sicilia e-Servizi) non era legittima. E sfumò, pochi giorni dopo.

Poco male, ovviamente, perché nel frattempo Crocetta ha continuato a piazzare bandierine sulle Province divenute “cosa sua”, dopo i proclami sulla rete ammiraglia. Ecco così i “petali” della rivoluzione crocettiana sparsi lungo il sentiero delle disastrate province: l’ex assesosre Dario Cartabellotta a Ragusa, il dirigente generale della Sanità Ignazio Tozzo a Trapani, il proprio capo di gabinetto Giulio Guagliano a Caltanissetta (“Così i miei concittadini sanno bene che quell’amministratore risponde a me”, ammise senza imbarazzo il governatore), Rosaria Barresi a Siracusa, prima della chiamata in giunta. Al suo posto arriverà Luciana Giammanco, dirigente generale della Funzione pubblica.

Posti di potere. Leve di comando di una nave che ha iniziato a imbarcare acqua fin dall’inizio. E dalla quale hanno cominciato in tanti a scappare. E proprio la storia delle Province, in questo senso, è esemplare: da ottobre a pochi giorni fa, cioè in nove mesi, il governo Crocetta ha dovuto sostituire la bellezza di quattro assessori regionali alle Autonomie locali, proprio quelli, insomma, che avrebbero dovuto portare definitivamente in porto, seppur in clamoroso ritardo, la riforma: dopo Patrizia Valenti, cacciata in seguito al terzo rimpasto in due anni è giunta Marcella Castronovo, rimasta un paio di mesi e anche lei fuggita per “motivi personali”. Ettore Leotta, invece, arrivato al suo posto è scappato per “motivi stradali”: il crollo del viadotto Himera, insomma, rendeva troppo faticosi i suoi viaggi. In realtà, alla base di quell’addio ci sarebbero motivazioni politiche ben più serie. Alla fine, ecco Giovanni Pistorio, ex assessore alla Salute del governo Lombardo. Un caos.

Ma sotto la polvere alzata dai continui turn over, le Province tornano comunque utili per estendere il proprio controllo su altri settori-cardine del potere siciliano. È il caso dell’aeroporto di Palermo. Proprio il commissariamento dell’ente, concede alla Regione la possibilità (il commissario della Provincia di Palermo Munafò è stato scelto da Crocetta) di esprimere due consiglieri di amministrazione e di detenere, di fatto, la maggioranza in Gesap, l’azienda che gestisce lo scalo. E anche in questo caso Crocetta non si è fatto mancare nulla, indicando Filippo Dragotto come consigliere designato. Una “intesa” tra il governatore e l’imprenditore in qualche modo “confermata” dalla scelta del patron di Sicily by car di assumere nella propria azienda Sami Ben Abdelaali, uno dei consulenti più cari e vicini al presidente della Regione. Fino alla scelta dello stesso Dragotto di dimettersi dal cda a causa degli eccessivi attacchi ricevuti e legati principalmente ai dubbi sul suo curriculum.

A completare l’immagine del disastro, gli affossamenti della riforma all’Ars, compiuti grazie all’intervento dei franchi tiratori di una maggioranza solo apparente. L’ultimo, pochi mesi fa, ha spostato il termine per l’approvazione della riforma appunto al 31 luglio. In questa confusione, restano appesi circa 6 mila lavoratori. Che non sanno quale fine li attenda, e dopo due anni di chiacchiere sono costretti ad assistere a sentire il governatore parlare di Comuni che hanno il diritto di far valere l’esito di un referendum per scegliere in quale Consorzio stare. Intanto, avanti con i bluff. Agli enti commissariati pochi giorni fa, al culmine delle proteste, sono stati garantiti dieci milioni di euro. Peccato che quei soldi fossero quelli “messi da parte” durante la finanziaria, per la sistemazione delle strade provinciali, ridotte ormai in trazzere impercorribili. Il più classico dei bluff, insomma: “Copro i tuoi stipendi con i soldi destinati alle strade” Oppure, se preferite, “riparo le strade con i soldi degli stipendi”. Ma questo, in tv, non lo sentiremo mai.


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