“Eccomi qua, ne è passato di tempo”.
I giorni dell’assenza hanno scavato e scolpito un volto nuovo, nel volto che fu di Totò Cuffaro. Non è solo la magrezza, figlia dell’erosione e del vitto carcerario. Anche gli occhi sono cambiati, brillano, più duri, nell’involucro di un corpo differente. La scena, intorno, è la stessa di molti anni fa, quando c’era ancora una libertà incondizionata. Nel salotto di casa Cuffaro, il tempo ha protetto tutto, con la pietà delle sue preghiere immobili.
C’è il ritratto di Ida, la figlia, sul comò. Il crocifisso appeso al muro. Le foto con Papa Ratzinger e Papa Wojtyla sul tavolino, in udienza ufficiale: vestigia di un passato remoto. Tra gli oggetti, appare l’uomo che ha varcato in senso inverso i cancelli di Rebibbia dopo avere scontato una condanna per favoreggiamento aggravato. Non somiglia per niente a colui che era. Eccolo, mentre congeda Claudio Sabelli Fioretti che lo ha appena intervistato per il ‘Fatto’ e si accomoda nella poltrona del suo salotto per rispondere ad altre domande.
Sì, ne è passato del tempo. Ma lei, Totò, non ha perso il gusto antico della politica, anche se fin qui ha affermato il contrario in tutte le salse. Le sue ultime dichiarazioni su Renzi, la Sicilia e Crocetta, compongono un bignami politicissimo.
“Certo, la passione è rimasta. Anche se la politica di oggi, ho detto pure questo, non mi piace più”.
Perché?
“Ha solo cambiato nascondiglio. Fa le stesse cose, talvolta porcherie, come le facevamo noi; ma, appunto, le fa di nascosto. E manca una vera classe dirigente, specialmente in Sicilia”.
La lingua batte dove Crocetta duole.
“Ma no, Crocetta mi sta pure simpatico. Solo che è inadeguato e non lo dico per offendere. E’ onesto, per carità, in buonafede, però la poltrona di Palazzo d’Orleans non è il suo posto. Un presidente deve dare risposte concrete. Non si governa con il bastone, come Lombardo, o con le urla e le piccole collere, le collerette, le chiamo io, come Crocetta. Ci vuole altro”.
Lei era un bravo governatore?
“Io ho tentato di fare. Chi non fa, ovviamente, non sbaglia. Se non si spendono i fondi, se non si muove foglia… è semplice non incappare negli incidenti di percorso. Se non fai, rinunci al tuo mandato. La Sicilia ha rinunciato, per esempio, alla sua autonomia. Così com’è, ha ragione Pietrangelo Buttafuoco, l’autonomia è diventata una palla al piede”.
La buttiamo via, questa autonomia?
“Io so solo che Renzi ha perfino messo il suo uomo, l’assessore all’Economia, a controllarci. E noi accettiamo gli ordini, non sappiamo difenderci”.
Dunque, ripercorriamo l’elenco dei cattivi, secondo Totò Cuffaro: Raffaele Lombardo…
“A un certo punto, ha avuto il terrore della macchina giudiziaria e si è lasciato condizionare. Si è tenuto a distanza da me, credendo che questa lontananza l’avrebbe salvato”.
…Rosario Crocetta.
“Ripeto il giudizio di un mio influente interlocutore di cui non svelo il nome: è uno strumento di coloro, soprattutto tra certi professionisti dell’antimafia, che hanno interesse che rimanga al suo posto”.
La lingua batte dove l’antimafia duole.
“Sul professionismo in tanti hanno costruito la propria carriera, distruggendo la vita degli altri. Non parlo di magistrati, beninteso. E io ho rappresentato un comodissimo bersaglio”.
Veramente Totò Cuffaro non tornerà alla politica?
“No”.
Alcuni, che la stanno tirando per giacchetta, nutrono qualche dubbio. Vorrebbero che lei fosse il padre nobile del centro trattino destra, magari il capitano non giocatore.
“Non è il mio ruolo. Se gioco, entro in campo, sudo, mi sporco la maglietta. E io non posso né voglio giocare più. Dove mi metto: sulle tribune, da segretario? Oltretutto, ripeto, non capisco più questa politica”.
Se dovesse dare un consiglio a un giovane politico?
“Gli suggerirei di umanizzarsi e di tenere fede alla sua bandiera. Invece, per esempio, il Pd ha come capogruppo una ragazza, sarà pure bravissima, non dico di no, che ha cambiato diversi partiti. Come si può comprendere una cosa del genere? E non c’è solo il Pd. Se i miei amici di Ncd pensano di abdicare ai propri valori per sopravvivere, accontentandosi di qualche strapuntino governativo, non hanno motivo di esserci. Scompariranno”.
E Genovese che dal Pd passa con Miccichè?
“Siamo in quello schema. Ma capisco che Gianfranco, non avendo più il Berlusconi vittorioso degli inizi alle spalle, è stato costretto a cambiare metodo. Un partito si costruisce, pezzo dopo pezzo, prendendo il meglio che c’è sul mercato, in termini di consenso”.
A proposito di mercato e di listino elettorale: Leoluca Orlando – la libera associazione nasce dalla comune radice scudocrociata – potrebbe vincere le prossime elezioni regionali?
“Perché no? Può succedere di tutto. Non avrebbe grandi avversari con cui confrontarsi, esattamente come gli è capitato da sindaco”.
I pretendenti non mancano. Ci sarebbe Davide Faraone, nel medesimo campo, per citarne uno. Ce ne sono diversi, a sinistra come a destra.
“Come si sa non posso votare, restando su questi due nomi: tra Faraone e Orlando, sceglierei Orlando”.
Continuiamo il gioco della torre: tra Faraone e Ferrandelli?
“Voterei Ferrandelli. Ha del coraggio e sta giocando la sua partita a viso aperto. Mi piace”.
E poi, andando avanti…
“Ancora domande politiche?”.
D’accordo, cambiamo argomento. Cos’è la giustizia per Totò Cuffaro?
“Un diritto. Andando in carcere, senza protestare, nonostante mi proclamassi innocente, ho rispettato in pieno il mio diritto di avere fiducia nella giustizia. L’ho fatto, non in teoria, sulla mia pelle”.
Lei ha scritto, nella sua ultima lettera aperta: ‘E’ il carcere di per sé che è cattivo. Dentro ci sono ladri, rapinatori, omicidi, usurai, corrotti, mafiosi, trafficanti di uomini e di droghe, bancarottieri, ma sono sempre uomini’. Cosa rimane di quell’esperienza di cattività?
“La voglia rafforzata di occuparmi dei più deboli, dei detenuti. All’inizio, a Rebibbia, sono stati loro ad aiutarmi. Persone condannate all’ergastolo ostativo, ragazzi murati vivi che mi incoraggiavano e che erano messi molto peggio di me. Mi hanno dato la forza di venirne fuori e io gli sarò debitore in eterno. In cella i momenti di disperazione sono all’ordine del giorno. Solo chi c’è passato sa di cosa si parla”.
Dopo la scarcerazione, lei ha riabbracciato sua madre a Raffadali.
“Durante la detenzione non mi era stato consentito. Mamma mi ha trovato molto dimagrito, ha cucinato le sue famose polpette. Quando le ho detto che sarei ritornato a Palermo per mezza giornata si è spaventata: ‘ora ti rimettono in carcere non ti vedrò mai più….’. Ho cercato di convincerla che sarei tornato presto da lei. Non so se ci sono riuscito. Sono andato anche da mio padre, al cimitero”.
Quale è stata l’emozione più forte?
“Il senso di colpa. Io mi sento in colpa perché ci siamo perduti, l’uno con l’altro, ed è accaduto per me, non per lui. Non è stato nemmeno possibile salutarsi. Questo sarà il mio rimorso per sempre. Ci siamo ritrovati, finalmente, nel silenzio del camposanto”.
E Totò cosa ha detto a papà Raffaele?
“Perdonami”.