PALERMO – Il reggente del mandamento di Porta Nuova era Paolo Calcagno, che al suo fianco aveva voluto Giuseppe Ruggeri. La supervisione, però, spettava a Teresa Marino, la moglie di Tommaso Lo Presti, detto il pacchione, che dal carcere continuava a dettare gli ordini. Del mandamento di Porta Nuova fanno parte tre famiglie, quella omonima, quella di Borgo Vecchio e quella di Palermo centro. I carabinieri vi piazzano al vertice rispettivamente Giuseppe Di Cara, Domenico Tantillo (suo è lo storico fruttivendolo di Corso Scinà) e Salvatore Mulè.
A Bagheria il compito di ricostruire il mandamento sulle macerie lasciate dai blitz sarebbe stato affidato a Giampiero Pitaressi che per gli affari della famiglia di Villabate si sarebbe affidato a Giuseppe Costa. La famiglia bagherese, invece, sarebbe stata gestita da Nicolò Testa, con a fianco il capo decina Carmelo D’Amico.
E poi ci sono i due anziani, Gaetano Tinnirello e Salvatore Scardina. Il primo, cognome storico in corso dei Mille, era uno a cui affidare alcune controversie delicate fra diversi mandamenti mafiosi della città. Il secondo, Sardina, architetto di Santa Flavia, era il punto di riferimento quando c’era da incassare le estorsioni nel paese alle porte di Palermo oppure si occupava di “curare i rapporti con l’amministrazione locale del comune di Santa Flavia.
Infine ci sono i soldati, coloro che avrebbero fatto il lavoro sporco, a cominciare dalla raccolta del pizzo: Alessandro Bronte, Salvatore David, Francesco Paolo Desio, Rosario Fricano, Francesco Paolo Lo Iacono, Rocco Marsalone e Ludovico Scurato (tutti affiliati alla famiglia di Palermo centro), Domenico Lo Iacono (famiglia di Porta Nuova), Giuseppe Tantillo e Girolamo Ciresi (famiglia di Borgo Vecchio), Pasquale Di Salvo (Bagheria), Antonino Virruso (Casteldaccia).