PALERMO – “Voi deveni un doctor”. A Enna si dice così. “Diventerò un medico”. Ne sono certi gli studenti siciliani dell’Università romena “Dunarea de Jos” di Galati sbarcata a settembre nella città siciliana. Quei ragazzi ci credono: diventeranno dei medici. Garantisce Mirello, cioè Vladimiro Crisafulli. L’ex senatore Pd che ha fatto attecchire nel cuore dell’Isola la facoltà di medicina dell’Ateneo straniero tra sfratti, inchieste, accuse e la “scomunica” del Ministero dell’Istruzione guidato da Stefania Giannini e rappresentato anche dal sottosegretario siciliano Davide Faraone.
Che non ha mai amato Mirello e che non ha perso l’occasione per bocciare la sua iniziativa: “Quell’università produrrà titoli fasulli”. Accuse rispedite al mittente con sarcasmo da Crisafulli: “Parla proprio lui che si sta laureando solo adesso e che si farà proclamare ‘dottore’ dai suoi dipendenti…”.
Polemiche vecchie e nuove, che rimbalzano tra le strade di Enna, soprattutto ora che è scoppiato il caso Angelino Alfano: l’ex procuratore di Enna, Calogero Ferrotti, ha ipotizzato in un rapporto denso d’intercettazioni inviato alla Procura di Roma che il ministro dell’Interno, il viceministro Filippo Bubbico e lo stesso Crisafulli abbiano agito insieme per allontanare da Enna il prefetto Fernando Guida, trasferito con urgenza a Isernia alla fine dello scorso dicembre. La sua “colpa”? Avere inviato la Guardia di finanza a sequestrare documenti proprio nella facoltà romena di Crisafulli. Ora Alfano, Bubbico e Crisafulli sono indagati per abuso d’ufficio.
A Enna, in effetti, Mirello è sempre stato certo di dominare. Un potere un po’ appannato, il suo, ma che ancora si avverte tra le vie della città e nei discorsi della gente, persino nella postura del ras ennese. “A Enna vinco pure col sorteggio”, assicurava una volta Mirello. Alle ultime elezioni comunali, però, ha perso: si era presentato con un simbolo simile a quello del Pd. “Crisafulli non fa più parte del partito” ha precisato a fine febbraio il neo commissario del Pd a Enna, Ernesto Carbone. Già nel 2013, del resto, Mirello era stato escluso dalle liste dei democratici perché “impresentabile”.
Poco male. Il presente di Crisafulli parla anche romeno. Grazie alla creazione del Fondo Proserpina in passato vicino all’Univesità Kore di Enna sorta anche per volere di Crisafulli, ma del tutto estranea alla vicenda della facoltà rumena. Il fondo oggi invece funge da “interfaccia” con l’università Dunarea. Con la quale ha sottoscritto una convenzione, approvata dal governo di Bucarest per la delocalizzazione delle lezioni. In pratica, invece di far spostare gli studenti all’estero, a viaggiare sono i professori.
Che si muovono tra i corridoi chiari e puliti di un locale da mille metri quadrati nella zona di Enna bassa, quella più nuova, residenziale. A pochi metri, l’ospedale “Umberto I” da dove pochi mesi fa Mirello era stato sfrattato. Avrebbe piazzato lì aule e laboratori della Dunarea, a seguito di un protocollo con l’Azienda sanitaria ennese. Protocollo che nessuno – compresa la Guardia di Finanza – finora è riuscito a trovare. Così ecco i sigilli e l’avviso di garanzia (anche) per Mirello: abuso d’ufficio e invasione di edificio pubblico. Nonostante, fa notare Crisafulli, tutti sapessero. Nell’agosto scorso, non a caso, il governatore Rosario Crocetta e l’assessore alla Salute, il renziano Baldo Gucciardi, avevano firmato una convenzione col Fondo Proserpina per lo svolgimento dei corsi. Mettendo a disposizione locali e personale medico. Accordi e protocolli sottoscritti quando, però, precisano le Fiamme Gialle, la Proserpina non era ancora stata riconosciuta come fondazione.
Poco male anche stavolta. Mirello sorride sornione, dietro la scrivania di una delle stanze che l’Università straniera condivide con la sua fondazione. Uffici popolati da impiegati e docenti romeni, che non vanno oltre il “buongiorno”. E che si affidano quasi esclusivamente alla loro lingua d’origine. La stessa imparata in fretta dagli studenti, usata nei libri di testo e per l’orario delle lezioni affisso all’ingresso. E romene sono persino le barrette di cioccolato che finiscono sulla scrivania di Mirello. Che osserva ogni giorno la sua strana creatura, l’ibrido siculo-balcanico scaturito da uno dei suoi viaggi in Romania. A Timisoara, ricorda. Al ritorno, in aeroporto, ecco l’incontro con una nutrita comitiva di italiani. Non erano turisti, ma studenti. Da lì l’intuizione: “Invece di far spostare i ragazzi all’estero, portiamo l’università straniera in Italia”. Apriti cielo. Arrivano subito le diffide del ministero, le inchieste penali, i ricorsi, fino all’ultima ordinanza che ha dato ragione a Mirello e alla sua pazza idea. E che ha rincuorato i ragazzi iscritti ai corsi.
“Ma siamo stanchi di voi giornalisti” protestano quei giovani fuori dalle aule, in attesa della lezione di biofisica. Molti di loro indossano camici bianchi. Sono tutti siciliani. “Non ne possiamo più. Preoccupati? No, siamo solo infastiditi”, insistono i ragazzi finiti nella centrifuga delle polemiche. “Siamo stati accusati di essere dei furbetti che vogliono aggirare gli ostacoli del numero chiuso. Ci hanno detto che questa è una facoltà fasulla. Ma noi diventeremo medici. La legge ci dà ragione”.
E la legge, in questo caso, è rappresentata anche da un’ordinanza del tribunale civile di Caltanissetta che ha respinto il ricorso in cui il ministero stabiliva l’immediato stop ai corsi. A quella richiesta il Tribunale ha risposto rimandando la palla allo stesso Ministero. È la ministra Giannini, insomma, che, se vuole, potrà dichiarare l’inefficacia dei titoli romeni in Italia.
Ma di fronte a questa ipotesi, Crisafulli sorride ancora una volta. Le norme europee, spiega, sanciscono il diritto di stabilimento delle università su tutto il territorio dell’Unione. “Non si può fare riferimento all’Europa solo quando conviene”, puntualizzano i suoi legali. Alla fine dei corsi gli studenti conseguiranno una laurea romena riconosciuta negli altri Paesi dell’Unione. Quindi anche in Italia. Una spiegazione affidata a una tagliente memoria difensiva, nella quale non mancano le frecciate al ministero, secondo gli avvocati di Mirello impegnato a difendere logiche corporativistiche. Quelle dei baronati, insomma, che rischiano di vedere “saltare in aria” il sistema delle università italiane. “Un po’ come avvenne per la sentenza Bosman che aprì le frontiere ai calciatori extracomunitari”, spiega l’avvocato Giuseppe Arena.
Anche lui, però, con Crisafulli è indagato dalla Procura di Enna con l’accusa di truffa sui corsi della Dunarea. Da questa indagine è scaturita l’altra, quella che ha portato all’ ultimo avviso garanzia per Mirelllo sul trasferimento del prefetto Guida chiesto ad Alfano.
È una storia che scorre parallela a quella della presunta truffa sui corsi della Dunarea. “Un’accusa che nella maggior parte dei casi – ricorda però l’avvocato Arena – dovrebbe scaturire da una querela della persona ‘truffata’. Gli studenti, in questo caso”. Ma i ragazzi sono con Crisafulli. A parte qualche eccezione. Perché una decina di loro, in realtà, a qualche settimana dall’avvio delle lezioni, ha deciso di rinunciare. Nonostante la lunga trafila per giungere dentro le aule in cui si parla solo romeno: tre mesi di corso intensivo (360 ore in tutto) di lingua straniera, l’esame di verifica, quindi il test di ammissione ai corsi. Oggi sono quindi 40 quelli che resistono, pagando anche la retta da 9.400 euro a testa. Un gruzzolo che viene diviso tra l’Università romena e il Fondo Proserpina che si limita a fornire un supporto logistico. Tra corridoi e aule di quel palazzo anonimo nel quale l’Università Dunarea è stata costretta a traslocare. Lì, tra laboratori e uffici amministrativi in cui non si parla l’italiano. Lì dove i ragazzi sono “stufi di essere trattati come furbetti”, pensano al prossimo esame di biofisica e assicurano: “Voi deveni un doctor”. Diventerò un medico. Nonostante il Miur. Garantisce Mirello.