ROMA – Un politico di lungo corso, che ha fatto i primi passi nella sinistra extraparlamentare e nel movimento ecologista, per poi passare ad incarichi di prima linea a livello locale e nazionale, culminati con il biennio alla guida del Ministero degli Esteri. E’ proprio la sua esperienza a tutto tondo, oltre alle doti di mediazione che in molti gli riconoscono, che pone Paolo Gentiloni tra i principali candidati a guidare il prossimo governo italiano, per traghettarlo nelle acque agitate del post ‘terremoto’ referendario, costato la poltrona a Matteo Renzi.
Nato 62 anni fa a Roma, sposato con l’architetto Emanuela Mauro, discendente di una famiglia nobiliare (un suo antenato siglò l’omonimo patto che agli inizi del ‘900 segnò l’ingresso dei cattolici nella politica italiana), Paolo Gentiloni Silveri nei primi anni ’70 milita nella sinistra extraparlamentare e si avvicina poi al movimento ecologista di Legambiente, dove si lega a Francesco Rutelli, di cui diventa portavoce quando Rutelli viene eletto sindaco di Roma nel ’93. E gestisce la difficile sfida del Giubileo, come anello di collegamento tra Vaticano e Comune. Entra in Parlamento nel 2001 con la Margherita, di cui è tra i fondatori, e nel 2006 lui che è anche giornalista, diventa ministro delle comunicazioni nel secondo governo Prodi, lavorando alla difficile partita di una riforma che riequilibri un sistema mediatico segnato dallo strapotere di Silvio Berlusconi.
Quando il Partito Democratico muove i primi passi, Gentiloni è tra i soci fondatori. Nell’ultima legislatura, entra in commissione Affari Esteri. Questa esperienza lo favorisce per la nomina a ministro degli Esteri, il 31 ottobre 2014, al posto di Federica Mogherini, chiamata a guidare la diplomazia Ue. Per la Farnesina il premier Renzi sceglie una persona di fiducia. Gentiloni, del resto, è tra i primi esponenti ‘senior’ del Pd a partecipare alla Leopolda, la convention da cui parte la scalata dell’allora sindaco di Firenze. Alla Farnesina Gentiloni affronta i numerosi – e spinosi – dossier di politica internazionale, tessendo una tela di dialogo che trova l’apprezzamento nei partner stranieri, anche da sponde opposte. Costruisce un rapporto stretto, e di amicizia, con il capo della diplomazia americana John Kerry, rivendicando l’indissolubile legame tra Italia e Stati Uniti, ma allo stesso tempo tiene aperto il canale con il collega russo Serghiei Lavrov. E anche nel momento di tensione massima tra Usa ed Europa e la Russia, culminata con le sanzioni contro Mosca dopo la crisi ucraina, Gentiloni insiste sulla necessità di non rompere con la Russia, pur mantenendo la fermezza.
Per esempio, avvertendo il Cremlino che “sulle macerie di Aleppo non si costruisce la pace in Siria”. La moderazione che lo contraddistingue, però, non gli impedisce di assumere anche toni duri, ad esempio contro l’Egitto, per i ritardi nella soluzione del caso Regeni, o per la vicenda dei marò (il suo primo atto da ministro sarà proprio la telefonata ai due fucilieri), per la quale non ha risparmiato attacchi alla controparte indiana. A Bruxelles, si batte soprattutto per difendere la posizione italiana sulla crisi migratoria, rivendicando la necessità che l’Europa non lasci sola i partner della sponda sud nel gestire l’accoglienza dei profughi. E poi la crisi libica, con il sostegno attivo dell’Italia agli sforzi che portano all’accordo sul governo di unità nazionale, e la guerra al terrorismo e all’Isis, che lo prende di mira bollandolo come “ministro dell’Italia crociata”. Nei suoi numerosi viaggi all’estero, Gentiloni, tra le altre cose, è stato il primo ministro europeo a volare a Cuba dopo il disgelo con gli Usa ed è stato in Iran poco prima dello storico accordo sul nucleare, ritornando a Teheran anche dopo la firma.
(ANSA)