PALERMO – Il fumo fa male. Da qualsiasi prospettiva si guardi una sigaretta accesa. Compresa quella giudiziaria. È stata un cicca a inguaiare Samuele Bronzino, condannato a quattro anni per rapina dal giudice per l’udienza preliminare Lorenzo Matassa.
Il 4 ottobre 2013 i carabinieri si lanciano all’inseguimento di un Fiorino Fiat. A bordo ci sono tre persone. Due non saranno mai identificate. Hanno appena assaltato il bar tabacchi “Caffè Liberty” di via Villani. Si sono fatti aprire il deposito e hanno razziato le scorte di sigarette. Prima di fuggire hanno strappato il borsello Louis Vuitton al proprietario con dentro alcuni blocchetti di assegni. Sono dei professionisti e si sono premurati di smontare l’hard disk con le immagini delle telecamere di videoserveglianza.
Quando capiscono di essere braccati i tre abbandonano il furgoncino e fuggono a piedi. Uno di loro perde il passamontagna. Sarà decisivo per le indagini che si concentrano subito su alcune vecchie conoscenze degli investigatori. Vivono nel rione Zen. E così Bronzino viene convocato al commissariato San Lorenzo. Nella sala d’attesa fuma una sigaretta e lascia la cicca nel posacenere. Gli esperti prelevano un campione di saliva e lo confrontano con un capello recuperato dal passamontagna. C’è piena compatibilità fra i due: si tratta dello stesso profilo genetico di Bronzino, anche se il legale della difesa, l’avvocato Max Molfettini, sostiene che non siano state rispettate le procedure per l’esecuzione dell’accertamento. Anche su questo si potrebbe basare il ricorso in appello.