PALERMO – Parli delle stragi di Capaci e via D’Amelio e dopo le immagini di macerie e morte viene alla mente una foto: due uomini, sorridenti, uno accanto all’altro. Tante generazioni hanno conosciuto Giovanni Falcone e Paolo Borsellino attraverso quello scatto: i due giudici simbolo della lotta alla mafia, cresciuti insieme nel vecchio quartiere palermitano della Kalsa, sono entrati così nella mente di tante generazioni di siciliani. Chi da bimbo aveva visto in diretta i detriti della Palermo-Mazara del Vallo e il fumo nero di via D’Amelio e chi, quelle immagini, le ha viste soltanto negli anni successivi. Gli anni delle commemorazioni, dei lenzuli bianchi, delle catene umane e dei cortei: in testa c’è sempre stata quella fotografia scattata da Tony Gentile, fotoreporter palermitano, il 27 marzo del 1992. “Soltanto un anno dopo le stragi iniziai a capire l’infinito valore simbolico che aveva quella fotografia – racconta Gentile -. I mesi successivi alle stragi furono caratterizzati da una serie di manifestazioni ma il 1993, a un anno da quegli eventi terribili, rappresentò un salto di livello. La foto era ovunque: volantini, t-shirt, striscioni, manifesti. Erano gli anni del movimento antimafia di massa. In quel momento ho capito la reale portata di ciò che ero riuscito a fare”.
Cogliere l’essenza di un momento in un clic: non è facile il mestiere di fotografo, spesso in ombra rispetto alle luci della ribalta, ma vedere il frutto del proprio lavoro diventare un simbolo di riscatto per tante generazioni è una piccola soddisfazione che Gentile si porta dentro: “Quella foto la conoscono tutti nel mondo ma in proporzione pochi sanno chi è l’autore. Due anni fa ho scritto un libro (‘La guerra’, Postcart editore, ndr) e ogni tanto mi chiamano per dare la mia testimonianza. Adesso c’è più consapevolezza ma sono ancora in tanti a non sapere chi sia l’autore di quello scatto. Tutto questo, però, non mi impedisce di essere orgoglioso di una immagine che contribuisce a una memoria che non deve spegnersi. Per il resto, il fotografo fa il suo mestiere e ha la sua riconoscibilità in ambito professionale”.
Una professione che ha portato Gentile per le strade di una Palermo martoriata dal tritolo. Nel 1992, tre anni dopo l’inizio della sua carriera, le prove tremende di Capaci e via D’Amelio: “In quei giorni si viveva in uno stato di guerra – racconta -. Davanti al terriccio di Capaci provai incredulità. Nessuno immaginava che fosse possibile una cosa del genere anche se tutti avevamo vissuto in una città che pochi anni prima aveva contato una media di mille morti all’anno. Sull’autostrada arrivai dopo centinaia di metri percorsi in mezzo ai pezzi d’asfalto – ricorda – ma fu in via D’Amelio che vidi la morte in faccia. Lì, tra il fumo e i corpi, c’era attesa e rassegnazione”.
Gli anni successivi sono quelli del grande rapporto di amicizia con i Borsellino, in particolare con Rita, sorella di Paolo: “La incontrai dopo la strage e dissi a lei quello che avrei voluto dire al fratello quando parlò in quella drammatica sera del 25 giugno alla biblioteca comunale. In quel momento non trovai il coraggio, un po’ per timidezza e un po’ per distacco professionale, ma poi mi confidai con Rita. Ci abbracciammo e nacque un bel rapporto che dura ancora oggi”. Un’amicizia nata sulla tenerezza di due sorrisi.