Giusto una settimana fa, in migliaia hanno sfilato al pride di Palermo. Si, semplicemente Pride e non perché servisse omettere la parola “gay” ma per una ben precisa scelta degli organizzatori, il pride di tutti e di tutte per chiedere diritti per tutti e tutte. Una scelta confermata anche quest’anno ponendo attenzione sulla tragica situazione nel Mediterraneo ed alla strage continua che vi si consuma.
Di tutto questo, però, non mi pare di aver scorto segnale nei commenti social di chi parla di “scandalo” gridando “qualcuno pensi ai bambini” mentre disserta sul fatto che “gli omosessuali seri non si vestono di piume”. Frasi che si ripetono abbastanza stereotipate da anni ed accompagnano come fastidioso rumore di fondo le note del pride. Cosi come ben conosciamo la solita foto di due uomini che sfilano tenendo una bandiera arcobaleno e indossando alcuni indumenti intimi che non lasciano molto spazio all’immaginazione. Eccola esibita la prova provata della vergogna che scandalizza e che sfila per le strade.
E pazienza se quella foto è di oltre 10 anni fa e non è neppure stata scattata a Palermo, questo fatto è irrilevante perché quella foto serve a saziare la necessità di una prova fotografica e tangibile che giustifichi il proprio disappunto e lo scandalo subito. E ancora pazienza se quella foto, anche fosse stata scattata sabato scorso a Palermo, a vederla bene non è altro che una foto di due uomini che sfilano in un gioioso corteo.
Perché questo è il pride, un modo gioioso di reclamare diritti e di affermare l’esistenza. Lo è, e lo è sempre stato. Una festa che, già nelle dinamiche, si oppone alla rabbia cieca che sembra dominare questo paese incattivito. E lo fa senza arretrare di un millimetro nelle sacrosante rivendicazioni di chi, alla fine, chiede solo di non vedere la propria vita e i propri affetti come fossero di serie B. A Palermo il pride è stata la festa di tutti e tutte: famiglie- rigorosamente al plurale- con bimbi al seguito ed anziani genitori, storici militanti del movimento lgbtq, eterosessuali ed omosessuali. Chi era per strada sabato non può non aver colto tutto ciò e il clima di gioia che si respirava tra i tir che spargevano arcobaleni di musica e palloncini colorati che hanno invaso il cielo della Città.
Ma neppure questo sembra riuscire a far dimenticare la colpa storica del pride, quella di voler manifestare un’esistenza e una rivendicazione sociale e politica. Perché l’omosessuale si tollera se si nasconde e non si vede, così come il migrante o il povero. Che restino nascosti nelle ombre di una società impaurita che guarda ogni diversità come una minaccia.
Il pride, allegro e colorato quanto partecipato, è agli occhi di una porzione- fortunatamente sempre più ridotta- della società di questo paese volgare e scandaloso non perché si ostenti qualcosa ma per il fatto stesso di riprendersi le strade e la luce del sole. Anche in questo appare abbastanza risibile la distinzione tra “omosessuali seri” e “omosessuali non seri” che traspare da qualche commento. Intanto perché non spetta a noi dire quale sia il modo giusto di sfilare in un pride, non lo possiamo dire perché non abbiamo subito sulla nostra pelle anni di bullismo, battutine, sofferenze. Non possiamo dirlo perché, cosa ancora più importante, non sono i nostri corpi a subire l’umiliazione del non potersi mostrare e del doversi nascondersi per dare un bacio o prendere per mano il nostro compagno o la nostra compagna.
Non capire questo significa non capire il senso profondo del pride, quella gioia di poter essere se stessi alla luce del sole. I bambini, che sempre di più animano con i loro volti quel corteo, lo hanno capito bene e saranno, grazie al pride, uomini e donne migliori di quanto siamo stati capaci di essere noi. Sarebbe bello, come sarebbe bello che a nascondersi non siano più i due ragazzi che si baciano o le due ragazze che si tengono per mano. A doversi nascondere dovrebbero essere i commentatori astiosi incapaci di guardare la gioia negli altri.