Guardate gli occhi di questi ragazzi e dimenticate il resto. Guardateli, mentre guardano la puntata di Montalbano, con le persone migranti salvate in mezzo al mare, e dimenticate quello che crediamo di sapere sulle migrazioni economiche, sulla pacchia, sull”Africa che ci invade’, sul ragazzo che ha vinto Sanremo che, ‘per fortuna’, è italiano, sui tweet di tutte le propagande, sulle lenti di ingrandimento e di rimpicciolimento che ci impediscono di osservare l’umanità di un uomo a grandezza naturale.
A Palermo anche quest’altra notte è fredda. Le ombre in circolazione – qualcuno che rovista nei cassonetti, qualcuno che dorme sotto i portici – avrebbero bisogno di riparo, non del rancore, somministrato in porzioni massicce, che divide gli egualmente miserabili. Dimenticate prima gli italiani, i buonisti e i social. Sotto questo cielo, unica è la tinta del dolore.
La comunità per migranti minori non accompagnati, che sono arrivati qui senza nessuno e la famiglia chissà dov’è, si trova da qualche parte, al centro. Il riserbo è massimo. Un androne un po’ malandato. Un giovane scruta con timidezza il massiccio cronista che prende posto nell’ascensore. Vuoi salire? No, grazie, vado a piedi. Sulla soglia, alcuni tra coloro che si occupano di ricomporre i pezzi di un perenne naufragio. C’è pure l’assessore ai Servizi sociali del Comune di Palermo, Giuseppe Mattina, che è in giro da tanto, in ossequio al suo cognome, ma non voleva mancare.
Stasera danno il commissario più famoso d’Italia in tv: ‘L’altro capo del filo’ è il titolo della storia scritta da Andrea Camilleri. E se ne chiacchiera da un po’, perché pare che Luca Zingaretti, tra indagini e colpi di scena, soccorra, addirittura, un barcone di migranti, attività assai sospetta, di questi tempi. Se ne discute, dunque, con un impeto massimalista che i social riflettono. C’è chi si indigna perché ‘hanno inquinato pure Montalbano co ‘ste storie di africani, quasi un lavaggio del cervello’ (le virgolette condensano il senso di un multi-pensiero variamente declinato). C’è chi ha già eletto Luca quale alfiere dell’anti-salvinismo alla riscossa. Anzi, hai visto mai: potremmo mandare lui al Pd al posto del fratello…
L’arredo della comunità è essenziale. “Gli ospiti sono dodici – dice una voce narrante -. Le vicende sono quelle che si sanno. Molti vengono dalla Libia e attraversano il deserto con il pick-up. Cinque giorni di viaggio, quasi senza bere, né mangiare. Se cadi dal veicolo, sei morto, nessuno si ferma a salvarti con cinquanta gradi. Stanno in trenta o quaranta, lì dove ce ne starebbero dieci. E’ normale che le ragazze vengano violentate. Pure per i ragazzi sta diventando normale…”. Le vicende si sanno, ma non contano nell’indifferenziata delle esistenze che – così abbiamo decretato – si possono perdere.
Il locale del televisore. I ragazzi entrano a poco a poco. Sono intimiditi e un po’ sulla difensiva. Invisibili, o descritti come folclore. Carne da giornale. Mercanzia da talk-show. Mai nessuno che li guardi negli occhi.
Uno ha la tuta di una squadra di calcio. Lo sai che tifo anch’io per ‘sti sciagurati? Il sorriso è il lusso di un attimo. Uno ha un cappuccio per nascondersi. Si mette in fondo, per passare inosservato. Uno è del Senegal. A scuola gli stanno insegnando l’arte del Pan di Spagna e chissà se gli basterà. Uno parla, è il portavoce spontaneo del gruppo: “Stamattina abbiamo fatto la matematica. Da grande voglio diventare come Messi. Se non ci riesco? Farò il musicista. Sono egiziano. Come Mahmood? E chi è?”. Da un cellulare spunta ‘Soldi’. E la tua famiglia dov’è? Tuo papà? Tua mamma? Allarga le braccia. Non lo sa.
“Siete sbarcati tutti?”, chiede l’assessore. La risposta è un cumulo di cenni affermativi. “Ma come vi trattano?” Il ragazzo con Messi nel cuore nicchia: “Ci sono i bravi e i cretini”. E con i cretini come ti comporti? “Fingo di essere più cretino di loro”.
La puntata comincia. Ecco i dolcini e le bibite. L’inizio rivela lo sbarco indigeribile ai più. La gente sulla tolda di una nave, stipata. Fermo immagine sulla platea raccogliticcia. Nessuno giochicchia con il telefonino. Il ragazzo del Senegal ha le pupille incollate allo schermo. Messi non pensa più al pallone. Il ragazzo con il cappuccio si copre la faccia, senza darlo troppo a vedere. Guardateli, adesso, i migranti minori non accompagnati.
Cosa avete provato? Silenzio. Ed è giusto così. Qui, almeno, possono proteggersi dalle domande cretine. “Hai altro da chiedere?”. No. Un doppio valzer di bibite e dolcini. Sul web i commenti si sfidano a duello. Avete sentito che figo il commissario: i terroristi non arrivano sui barconi. C’è chi esplode di indignazione: abbiamo cambiato canale. Ma questa assenza di parole, nella comunità, mischiata ai lineamenti, alle biografie, ai sussulti involontari, è forse la parola più dura da pronunciare.
Di nuovo in ascensore, fino all’androne malandato. Prima, un abbraccio a Messi. Chissà se lo rivedremo al Camp Nou. Un abbraccio all’incappucciato che scopre una capigliatura rasta, finalmente. “Abbiamo saputo che alcuni dei loro amici sono morti in Libia”. I cellulari che riprendono l’attività, tessono domande che non trovano risposte necessarie Giuseppe Mattina dice: “Non è vero che, a Palermo, pensiamo solo ad alcuni. Cerchiamo di aiutare tutti”. E srotola un calvario di sofferenze, di lettere, di proteste da cullare, vasto quanto un’intera città.
La notte è inospitale. Avrebbe bisogno di affetto per tutti. Gli occhi che la attraversano hanno imparato a memoria il dolore e l’indifferenza. Siamo tutti naufraghi di qualcosa. E non ci salverà il messaggio in bottiglia dell’ultimo tweet.