PALERMO- Quella volta Biagio, dolcemente, mi mandò a quel paese. Era sdraiato, in mezzo ai cartoni, sulla scalinata delle Poste di via Roma per protestare contro l’indifferenza di Palermo e tutti si preoccupavano delle condizioni di salute, nello scorrere dei giorni.
Mi avvicinai al suo giaciglio, scrutando il sorriso che offriva a coloro che erano venuti a trovarlo: il sorriso e gli occhi di Biagio sono patrimonio dell’umanità.
Appena toccò a me, lo salutai e provai a convincerlo a dare ascolto ai suoi malanni: “Adesso basta. Sei stanco, stai male, smettila e torna alla Missione”. Lui non sorrise più e a voce bassa rispose: “Ti ringrazio della visita. Ora puoi pure andare”. Aveva ragione e mi ero meritato il rimbrotto: non si fermano i cuori in corsa.
Raramente ho incontrato una persona più cocciuta di Biagio Conte, di quella testardaggine che è un pregio perché non si nutre dell’orgoglio ma della necessità di piantare il seme di un miracolo nelle zone di guerra.
Fratel Biagio non ha mai avuto paura di mettere in gioco il suo corpo, di mandare avanti se stesso, i suoi acciacchi, il suo ardore, sulla trincea delle battaglie più difficili. Anche da ragazzo – raccontano – viaggiava contromano rispetto all’egoismo del senso comune. I soldi di papà li dava ai poveri, stava stretto nei panni del tranquillo borghese, ecco perché decise di partire, lasciando un biglietto e diventando, davvero, uno che fa i miracoli.
Ma i miracoli di Biagio non appartengono al genere delle richieste che attraversano le nostre fragili preghiere: la salute, il lavoro, la vincita al Superenalotto. Lui è il testimone di una umanità inestirpabile, pure nel tempo che vorrebbe rispondere con i porti chiusi a ogni mano tesa, come se la paura e il cinismo fossero la ricetta per le ferite della povertà.
Biagio c’è, lì dove è opportuno segnalare una crepa, una contraddizione, una scommessa che valga la pena di affrontare. C’è, nel suo ultimo combattimento pacifico per un ragazzo migrante, come c’era, su quella scalinata, quando i clochard di Palermo morivano di gelo, osservati da sguardi indifferenti, come ci sarà, domani, per cucire con un rammendo gli strappi alla solidarietà.
Biagio c’è, con un atteggiamento talvolta complicato da subire, con i suoi momenti di rabbia, con la sua dolcezza, con i suoi duri rimproveri, con i suoi attimi di debolezza, con la sua fede, con quel suo corpo teso fino a estremità impensabili di sopportazione. Non è un santo, ma un uomo che crede nel cambiamento del cuore. Esiste un miracolo più grande?
Biagio c’è, per vegliare una città sonnolenta e pigra, che ha bisogno di essere presa a schiaffi per risvegliarsi. Una comunità che, all’inizio di una nuova sfida, lo osserva riluttante e poi lo segue, se ne innamora e comprende il suo messaggio. Ecco perché questo borghese per fortuna mancato, questo professionista ipotetico che non fu mai né dottore, né avvocato, né ricco, rimarrà nella storia, al di là delle pagine di cronaca. E quando, tra qualche anno, noi rileggeremo gli eventi contemporanei, ci accorgeremo di una verità che è sotto gli occhi di tutti già ora: Fratel Biagio ha salvato Palermo, mentre Palermo si occupava di altro.