CATANIA. Con l’esame del medico legale Carlo Rossitto, della psichiatra Liliana Gandolfo e dell’imputato Paolo Cartelli si è chiusa l’istruttoria dibattimentale del processo sull’omicidio di Maria Ruccella, l’anziana di Calatabiano, nota a tutti con il nome di Amalia, sgozzata nella propria abitazione nell’ottobre di due anni fa. Il 23 novembre sarà l’accusa, rappresentata in aula dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dal sostituto Andrea Norzi, a formulare le richieste di condanna per il 38enne. L’11 dicembre fissata, invece, l’arringa del legale della difesa Lucia Spicuzza. Entro la fine dell’anno, dunque, potrebbe giungere la sentenza.
IL MEDICO LEGALE. L’unica impronta digitale riconducibile a Paolo Cartelli, rilevata sul collo della bottiglia che ha reciso la gola della vittima, non sarebbe compatibile con l’impugnatura necessaria per brandire l’arma e colpire qualcuno. Lo sarebbe invece con una presa su cui non fosse stata esercitata alcuna forza. Queste le conclusioni del medico legale Carlo Rossitto, consulente della difesa, sentito in aula nel corso dell’ultima udienza. Il teste ha spiegato, bottiglia in mano, quale impugnatura sarebbe stata idonea per rompere prima l’oggetto e per usarlo poi contro la donna. Altro aspetto esaminato nel corso dell’escussione, le tracce ematiche della vittima rinvenute sugli indumenti indossati dal presunto assassino. Le uniche gocce di sangue sarebbero state trovate su pantaloni e scarpe indossati quel giorno da Paolo Cartelli. Gocce che, secondo l’analisi di Carlo Rossitto, non sarebbero derivanti da schizzi ma da gocciolamento. Altra anomalia sarebbe il rinvenimento di sangue nella parte posteriore dei pantaloni, all’altezza dei polpacci destro e sinistro. Improbabile per il medico legale che siano stati indossati da chi ha colpito a morte la 75enne.
LA PERIZIA. La Corte d’Assise di Catania, presieduta da Maria Concetta Spanto, ha rigettato l’istanza di una perizia psichiatrica collegiale avanzata dall’avvocato Spicuzza. Lo ha fatto dopo aver sentito Liliana Gandolfo, psichiatra nominata dal gip per compiere una perizia in sede di incidente probatorio. Il perito ha confermato la propria analisi, ribadendo la capacità di intendere e di volere dell’imputato. Per la Gandolfo si sarebbe trattato di un delitto d’impeto. Cartelli, pur non essendo un soggetto pericoloso, si sarebbe fatto trascinare dalla rabbia e avrebbe per questo ucciso la donna. Prima di rigettare l’istanza la Corte ha chiesto di sentire l’imputato.
L’ESAME DELL’IMPUTATO. E’ lungo e complesso l’esame di Paolo Cartelli. L’imputato fa fatica a comprendere le domande e ad esprimersi in modo chiaro. Le risposte, veri e propri telegrammi, necessitano sempre di approfondimenti. Alla domanda diretta del pm Fonzo, che chiede se al momento del delitto si trovasse in quell’abitazione e se fosse stato lui a colpire la donna, il 38enne ammette la presenza in casa ma nega di aver ucciso. Dice però, nello stesso tempo, di essere stato l’unico presente in casa con la vittima. “Le volevo bene e lei ne voleva a me”, dice Cartelli in aula.
Il suo è un racconto poco lucido ed in parte contraddittorio. “Non mi ci fare pensare perché mi impressiona il sangue”, così risponde al proprio legale che gli chiede di rivivere e raccontare quei momenti. Cartelli riferisce di essere andato da Amalia, quel giorno. La donna gli avrebbe poi chiesto di andare a prendere in un’altra stanza alcuni ferri per lavorare a maglia. Pochi istanti dopo, tornato nella stanza, avrebbe trovato la donna riversa sul divano in una pozza di sangue. Le avrebbe chiesto cosa fosse successo ma la donna non sarebbe stata in grado di rispondere. A quel punto avrebbe istintivamente preso il collo della bottiglia e lo avrebbe buttato in giardino, prima di fuggire via. “Non so perché ho preso quel pezzo di bottiglia – risponde – Così mi ha detto la testa”.