CATANIA – “Faccia di mostro”, il presunto killer dello Stato, l’uomo misterioso dal volto sfigurato che sarebbe stato visto nei luoghi delle più drammatiche stragi degli anni ’80 e ’90 in Sicilia, e riconosciuto da diversi collaboratori di giustizia come Giovanni Aiello, ex poliziotto, è sotto inchiesta anche a Catania. E’ un fascicolo di cui al Palazzo di Giustizia di piazza Verga non si parla, forse perchè tocca nervi scoperti e temi scottanti come quello dei legami occulti tra Mafia, Servizi Segreti e Stato. Ma come hanno rivelato alcuni quotidiani nazionali i pm guidati da Giovanni Salvi stanno lavorando ormai da oltre un anno sui contatti tra “il misterioso uomo sfregiato” e il clan Laudani. Il silenzio della Procura è stato rotto durante durante l’interrogatorio al colonnello Michele Riccio nel corso del processo sull’omicidio Ilardo. E’ stato, infatti, l’infiltrato Oriente ucciso nel 1996 a parlare per primo al militare ligure durante la sua collaborazione con la polizia giudiziaria di quell’uomo dal volto deturpato che sarebbe stato “direttamente o indirettemante” collegato a diversi attentati che erano stati attribuiti a Cosa nostra.
Ma andiamo per ordine. L’indagine catanese prenderebbe le mosse dalle dichiarazioni di Giuseppe Di Giacomo, il mandante dell’omicidio dell’avvocato Serafino Fama e unico catanese nella lista degli otto mafiosi detenuti al 41 bis inseriti nel “protocollo Farfalla”, il presunto accordo tra Servizi e l’Amministrazione penitenziaria per ottenere informazioni dai boss di primo piano. L’ex reggente dei “Mussi i Ficurinia” avrebbe raccontato ai magistrati dell’Antimafia nazionale di aver sentito parlare dello “sfregiato”, anche se non lo avrebbe mai visto di persona. “Lo chiamavano u ‘vaddia’ (sbirro)” – avrebbe raccontato. Sebastiano Laudani, il capo dell’ominima cosca, sempre secondo le rivelazioni del pentito, lo avrebbe voluto incontrare “perchè sapeva che era un appartenente alle istituzioni”.
Un indagine difficile quella condotta dal procuratore Giovanni Salvi, dagli aggiunti Amedeo Bertone e Carmelo Zuccaro, e della pm Giovannella Scaminaci, che cercano di sviscerare i possibili legami di pezzi deviati dello Stato con i clan catanesi. Una pista catanese che potrebbe condurre alla fase stragista di Cosa nostra con un depistaggio che passa direttamente da Catania. Un’inchiesta questa che si muove di parallelo e in collaborazione con le Procure di Caltanissetta e Palermo che stanno indagando anche loro su Giovanni Aiello, classe 1946, poliziotto per oltre un decennio e in servizio anche nel capoluogo siciliano. Si è congedato dalla Polizia nel 1977. Non sono mancati i confronti anche direttamente a Roma, negli uffici dell’Antimafia nazionale.
I pm nisseni, palermitani e catanesi hanno nei mesi acquisito i verbali dei collaboratori di giustizia che hanno riconosciuto Giovanni Aiello come il misterioso “faccia di mostro”. La lista è lunga: Vito Lo Forte, picciotto palermitano del clan Galatolo, Francesco Marullo, vicino agli ambienti malavitosi, Angela Galatolo, figlia del capomafia Vincenzo, che lo ha indicato senza vacillare dopo un confronto all’americana tra più persone schierate dietro un vetro oscurato. Aveva parlato di lui, prima di ritrattare, anche il boss calabrese della ‘ndrangheta Nino Lo Giudice. E negli ultimi mesi si sono aggiunte le rivelazioni di Vito Galatolo, fratello di Angela e figlio di uno dei massimi esponenti della cupola palermitana. Guardando la foto di Giovanni Aiello il neo pentito non avrebbe avuto dubbi su volto di “faccia di mostro”. Eppure, un anno fa, il poliziotto che vive a Mantauro in Calabria davanti alle telecamere di Servizio Pubblico ha respinto ogni accusa e si è difeso: “Io non c’entro nulla”. Ma le sue parole hanno lasciato dubbi sulla sua totale sincerità: quella cicatrice sul volto – a suo dire – sarebbe il ricordo di uno scontro a fuoco in Sardegna durante un servizio per un sequestro di persona nel 1967. Ma nel suo foglio matricolare di poliziotto si parla, invece, di un colpo partito accidentalmente da un fucile. L’anno, però, è lo stesso.
La magistratura vuole vederci chiaro. Non bastano le parole dei pentiti. Servono riscontri, prove concrete. E sono partite anche perquisizioni negli appartamenti di Aiello. E ci sono tanti elementi che rendono ancora più oscura e misteriosa la posizione dell’ex poliziotto. Secondo quanto è comparso sulla stampa la Digos avrebbe sequestrato due biglietti per il traghetto dello stretto di Messina datati 2010 e 2011. Eppure Aiello ha detto che dopo il trasferimento da Palermo non avrebbe più messo piede nell’isola.
Il mistero di “Faccia di Mostro” è nelle mani degli investigatori da oltre trentanni. Gino Ilardo, referente dei Madonia a Catania, ne aveva parlato al colonnello Michele Riccio durante il periodo della sua collaborazione. Era il 1996. L’infiltrato avrebbe collegato “lo sfregiato” con il duplice omicidio del poliziotto Antonino D’Agostino e della moglie incinta Ida trucidati nel 1989 a Villagrazia di Carini, con il delitto del piccolo Claudio Domino, freddato a soli 11 anni nel 1986 a Palermo, ma anche di altri agguati “eccellenti” bollati dagli inquirenti come piani della mafia.
“Ilardo forse è stato il primo a parlare di faccia di mostro” – Michele Riccio racconta nei dettagli i particolari che gli confidò il cugino di Piddu Madonia prima di essere ucciso. “Ilardo me ne parlò – aggiunge il colonnello – a proposito di alcuni attentati che erano stati addebitati alla mafia e i cui esecutori erano affiliati a Cosa Nostra ma che però avevano visto una partecipazione diretta o indiretta di apparati deviati dello Stato”. Ilardo avrebbe anticipato a Riccio quale sarebbe stato il suo contributo una volta diventato collaboratore di giustiza. “Ilardo mi disse: – ricorda l’ex militare – parlerò di determinati episodi come la morte di Pio La Torre, del presidente Mattarella, di Claudio Domino, del poliziotto ucciso insieme alla moglie, perchè dietro ci sono le Istituzioni. E mi fece riferimento – continua Riccio – che proprio per la morte di Domino i suoi contatti di cosa nostra palermitana gli avevano riferito che ci fu la ricerca di un personaggio che doveva appartenere alle istituzioni italiane, il quale aveva fatto un po’ da supervisore e, forse aveva anche avuto qualche parte attiva in questi attentati, specialmente in quello di Domino che aveva colpito molti esponenti di cosa Nostra che non erano concordi con questi omicidi. Per cui – aggiunge il colonnello – si sarebbero mossi alla ricerca di questo personaggio, che Ilardo allora mi descrisse come alto, magro e con in viso una voglia che lo deturpava. Sinteticamente mi disse “faccia da mostro”. Gino Ilardo riuscì a fornire una descrizione del “personaggio” perche come racconta Riccio gli sarebbe stato “indicato in carcere da altri affiliti quando era detenuto all’Ucciardone. “Mentre vedevano una trasmissione televisiva inerente una manifestazione che si era tenuta Palermo – afferma – tra le autorità, messo in disparte in un lato del palco, c’era lui. “Eccolo è lui, gli dissero”. La conclusione del colonnello ha un tono d’amarezza: “Per cui lui sarebbe stato anche in grado di riconoscerlo”. Ma Gino Ilardo fu ammazzato, e nella sua tomba furono seppelliti anche le possibili rivelazioni che avrebbe potuto raccontare agli inquirenti.