Il portiere Domenico Cecere, 36 anni (“Non 38 come ha scritto qualcuno”, si lamenta) era salito agli onori della cronaca sportiva nazionale nell’agosto 2005. Grazie alla prova televisiva, il giudice sportivo lo aveva squalificato per tre giornate, perché durante Verona-Avellino (allora giocava per gli irpini) aveva dato un pugno a un calciatore degli scaligeri, Sforzini. Ieri, invece, Cecere ha salvato l’imbattibilità stagionale della sua squadra, il Gela, realizzando nei minuti di recupero l’1-1 finale contro i laziali dell’Isola Liri.
Per giocatori come lui, che per mestiere stanno tra i pali, l’area del collega della squadra avversaria è quanto di più lontano si possa mai immaginare. Ieri però il portiere si è trasformato in goleador. Non come quelli sudamericani – come Ceni o Chilavert – che di “secondo mestiere” vanno a rete su punizione o rigore. Ma come quelli italiani che hanno provato l’ebbrezza del gol della disperazione, quello da realizzare a fine partita, quando tutto sembra compromesso. Gente come Rampulla, Taibi o lo stesso Amelia.
Com’è nata l’idea di andare a saltare nell’area avversaria?
“Dall’angoscia sportiva che avevo in corpo. Contro l’Isola Liri sarebbe stata la nostra prima sconfitta in questo campionato. Io avevo beccato un’ammonizione ed essendo diffidato sapevo già di essere squalificato e saltare la gara successiva. Così ho pensato di spingermi in avanti”.
A mente fredda come sta vivendo l’avvenimento?
“Con gioia ed entusiasmo, con gli stessi sentimenti che mi spingono ad andare avanti e a giocare. Questo gol è una perla che mi mancava in una lunga e onesta carriera in serie C, con alcune puntate nei cadetti”.
Non era la prima volta che provava a far gol?
“No, già fatto, ma con scarsi risultati. Ieri, invece, ero proprio convinto di indovinare l’impatto con il pallone. Ci sono riuscito e ho scaricato in porta tutta la mia rabbia. Ne ero sicuro. Quando giocavo all’Avellino c’ero andato vicino, stavolta ero sicuro perché la Sicilia è la terra del mio destino”.
Lei campano doc ha giocato molte stagioni in Sicilia, iniziando da Palermo.
“Era la mia prima stagione da professionista, facevo da secondo a Vinti. Era il 1992/93, vincemmo campionato e coppa Italia di serie C, io giocai la finale di ritorno con il Como. Nella stagione successiva esordii in campionato, con la maglia del Nola, in Sicilia, a Siracusa. Poi ho giocato due stagioni a Messina e lì ho conosciuto mia moglie. E adesso faccio del mio meglio per il Gela. La Sicilia è la mia isola del tesoro”.
Quanto bisognerà aspettare per un suo prossimo gol?
“Non arriverà a breve. Anzi, spero di non farne più, se dovessi ancora andare nell’area avversaria significherebbe che il Gela non se la passa bene… Mi accontento di tornare a fare il mio mestiere a tempo pieno. Ai gol ci pensino gli attaccanti, io voglio parare ancora a lungo”.
A 36 anni si diverte ancora?
“Al Palermo c’è un certo Fontana che va per i 42 anni, per me è un modello. Il fisico mi aiuta, perché non ho mai avuto grossi problemi. Ho ancora l’entusiasmo di un ragazzino, il segreto è emozionarsi e divertirsi sempre con lo sport. È quello che faccio io”.
Ha dedicato il gol ai suoi figli. Tornando a casa come gli ha spiegato che stavolta ha fatto gol?
“Vittoria, Giovanni e Mattia sono ancora troppo piccoli, non gliel’ho spiegato”.