Se Palermo-Catania è il derby siciliano per antonomasia, Palermo-Juve sa dividere in due il tifo della città come nessun’altra partita. Il gol di Ciccio Brienza nel primo Palermo-Juventus del 2005 aveva lavato via il più odioso atto di colonialismo calcistico, quella finale di supercoppa europea celebrata proprio alla Favorita nell’estate del 96. Il mio stadio colorato di bianconero e quell’idea che per vedere il vero e grande calcio si dovesse aspettare la discesa per grazia ricevuta delle squadre blasonate del nord.
In questi anni la soddisfazione di vedere il Palermo imporre gioco a Torino ed in casa aveva il sapore di una rivincita, la dimostrazione di come una città che sprofondava in tutte le classifiche di vivibilità almeno la domenica poteva sorridere e sentirsi non normale ma speciale. Quel rosa colore del Palermo che fa da contrasto al nero della città d’inferno cantato da Alamia e Sperandeo insieme al sapore dei ghiaccioli all’arancio da gustarsi sugli spalti. E che ci faceva svegliare i lunedì con il sorriso sulle labbra. Il sorriso che , ad esempio, era stato restituito da Miccoli per qualche ora agli operai di Termini Imerese dedicandogli il gol della vittoria.
Un Palermo che univa il cuore e la grinta alla tecnica e alla fantasia. Un altro Palermo, diverso da questo. Un po’ come paragonare una magnifica cassata ad un petto di pollo. Eppure anche il Palermo di questa sconfitta è stato generoso. Provando a colmare con il cuore quello che non si poteva fare con i piedi. Riuscendoci pure fino alla testata di Bonucci ad inizio secondo tempo.
Un Palermo operaio, come si dice, capace di inventarsi una mentalità da “provinciale” con tutti gli annessi e connessi. Talmente mal ridotto da infortuni e squalifiche da fare la stessa tenerezza dello scolaro già consapevole del suo destino da bocciato che però continua a frequentare scuola e lezioni sperando in un miracolo. Deciso a lottare però, a non fare quella figura barbina temuta da Capitan Miccoli nella vigilia.
La rasoiata di Quagliarella ha messo la parola fine alla partita ma non alla voglia di sudare dei ragazzi di Mutti, complice anche una Juve che ha pensato più alla ritrovata vetta della classifica che a continuare a pressare in direzione del buon Viviano. E la partita tutte ombre e tocchi errati di Miccoli e Ilicic rappresenta bene come i rosa abbiano interpretato la gara. Ed a pensarci bene rappresenta anche questo Palermo in cerca di una sua dimensione capace di guardare alla necessaria opera di rifondazione. Che non può passare solo dal far legna dei Barreto, dei Della Rocca e dei Migliaccio, comunque ammirevoli nel tentativo, purtroppo vano, di fermare lo strapotere del centrocampo Juventino.
Alla fine resta il tempo di ricordare il Palermo che era, con la stessa luce negli occhi di quando si guardano le foto della Via Libertà liberty ed antecedente al sacco edilizio. E resta però anche la consapevolezza che non siamo e non torneremo al tempo di quella partita di supercoppa dell’estate 96, in cui la Juve strapazzò il Paris SG, lo stesso PSG che ci ha portato via Pastore. Alla fine è sempre colpa loro.