CATANIA – Due riforme e tre conferme. Si chiude così il secondo capitolo del processo Kallipolis, stralcio abbreviato, che ha portato alla sbarra i vertici del clan Brunetto di Giarre. Parliamo dei diretti referenti della famiglia catanese di Cosa nostra. La Corte d’Appello di Catania ha rideterminato la pena nei confronti di Salvatore Brunetto, difeso dagli avvocati Ernesto Pino e Michele Pansera, a 3 anni e quattro mesi di reclusione riconoscendo l’aumento alla sentenza inflitta nel procedimento Gotha. Sono quattro (e due mesi) gli anni inflitti dalla Corte d’Appello nei confronti di Alfio Patanè, assistito dagli avvocati Salvo Pace e Lucia Spicuzza, che riformando il verdetto del gup ha riconosciuto il vincolo della continuazione con altre sentenze, alcune irrevocabili. Invece confermate le pene inflitte nei confronti di Paolo Patanè (7 anni), difeso dall’avvocato Lucia Spicuzza, Alessandro Siligato (8 anni), assistito dall’avvocato Giovanni Spada e Pietro Galasso (6 anni e 8 mesi), difeso dall’avvocato Antonio Noè.
I legami di famiglia
Salvatore Brunetto e Alfio Patanè hanno parentele di rango mafioso. Il primo è il fratello del boss defunto Paolo Brunetto, mentre il secondo è il figlio di Sebastiano Patanè anche lui scomparso e per un lungo periodo con ruoli di primo piano nella gestione della cosca mafiosa.
L’inchiesta
A prendere le redini del clan Brunetto però non sarebbe stato il fratello Salvatore. Lo scettro del comando – secondo gli inquirenti – sarebbe stato preso dopo la morte del boss da Pietro Olivieri, detto Carmeluccio che sta affrontando il processo ordinario. Le indagini dei carabinieri hanno documentato diverse le attività illecite gestite dal gruppo operante tra Giarre e Giardini Naxos. Oltre al traffico di droga e alle rapine, gli uomini di ‘Carmeluccio’ avrebbero imposto in diversi locali della zona ionica i propri uomini come buttafuori. Una sorta di controllo sul territorio. Inoltre i filmati registrate dalle telecamere piazzate nel cortile di quello che è stato indicato come il quartier generale del clan, la stalla di Vico Costanzo a Giarre, di proprietà di Oliveri, testimonierebbe la disponibilità di armi del gruppo criminale.