“La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c′è più né sole né luna, c′è la verità”. E’ Mariano Arena a parlare dalle pagine antiche e sempre rinnovabili e ricaricabili del “Giorno della civetta”. E’ Leonardo Sciascia a scrivere e a dispiegare i tratti più abbacinanti della sua opera, per bocca del capomafia, del suo boss prediletto.
Il pozzo, il sole, la luna, la verità. E le foibe. E i corpi lanciati in una oscurità a forma di pozzo, affinché se ne perdesse il senso e la parola per raccontarli. Affinché la pena fosse la morte infinita di tutto ciò che muore, di tutto ciò che nella memoria resta faticosamente immortale. E ci sono i riflessi maligni, sulla superficie del pozzo, come denunciano i promotori del comitato. Ci sono, però, a tutto campo, rispetto a quegli “anni formidabili”.
Ci sono quelli che amano la macelleria di piazzale Loreto, la rammentano come un episodio glorioso e lo scrivono pure su strani teloni da circo, protetti nella facoltà di Lettere di Palermo. Sono costoro un monumento alla disumanità, più che all’ignoranza. Ci sono professori che esercitano da cattivi maestri perché intorno non hanno studenti con cui confrontarsi, ma solo compagni e camerati con cui formare la falange. Ci sono quelli che afferrano la Storia come se fosse uno spadone controriformista. La usano per tagliare il collo alla Resistenza, per negare la buona novella della nascita di una Costituzione repubblicana che pure ebbe le sue efferatezze collaterali ipocritamente taciute. Ci sono quelli che vedono comunisti dappertutto e si rintanano in una giungla immaginaria, perché nessuno li ha mai avvertiti della fine della guerra. Ci sono quelli che “il fascista buono è un fascista morto”, anche se era una brava persona. E’ il torbido schizzo di luce e sangue sull’orlo del pozzo.
Dobbiamo tuffarci nel pozzo di Sciascia, per capire. Immergendoci troveremo la verità. Troveremo i corpi. Troveremo i cadaveri appesi a piazzale Loreto e un fremito di pietà. Troveremo membra in disfacimento perché portavano la canottiera di un diverso colore e un soprassalto di sdegno. Impareremo che la memoria non c’entra niente con Berlusconi o con Bersani. Ha un valore sacro che la conduce all’attualità, a patto che si sfoglino le pagine con occhio scevro, a patto che non si compia l’infamia di legarla a questo o a quel carro ideologico, prima di un rigoroso esame.
Oggi, intanto, è arrivato il momento di ricordare i martiri delle foibe e di accettare le zone d’ombra della Storia, senza omertà, senza omissioni, senza pruriti di tessera o di schieramento. In fondo al pozzo, non si può mentire. R.P.
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