PALERMO – Nel centro antiviolenza le Onde a Palermo, sono 429 le chiamate allo Sportello d’ascolto 091327973. Quattrocentoventinove, da gennaio a giugno, le volte in cui una donna ha chiesto aiuto. Nel trimestre maggio-giugno, 131 donne sono state seguite in accoglienza, in percorsi di uscita dalla violenza, all’interno del progetto “Pleide”.
Garantire le donne vittime di violenza dal primo contatto fino alla fuoriuscita dalla violenza anche attraverso l’ospitalità in case rifugio ad indirizzo segreto, attraverso un sistema integrato di prestazioni interconnesso con i servizi della ‘Rete contro la violenza alle donne, alle ragazze e ai ragazzi, alle bambine e ai bambini’. È questa la finalità del progetto.
Per non dimenticare, i primi di settembre Ada è stata uccisa a Bronte dal marito: l’ennesimo femminicidio avvenuto in Sicilia. Qualche settimana prima, la tragica uccisione di Vanessa a Acitrezza. Il 13 settembre in un solo giorno altre due donne sono state uccise, una in Lombardia, l’altra in Calabria. Fino ad oggi, 83 femminicidi, quasi tutti avvenuti in ambito familiare. È il report del Viminale, drammatici dati di un 2021 che conta già una lunga lista di femminicidi. Uno stillicidio di violenza contro le donne, praticata non da sconosciuti ma dal partner attuale o dal precedente. Non è un’emergenza ma un fenomeno strutturale dovuto all’asimmetria nel rapporto tra i sessi, che ha visto i numeri crescere durante la pandemia. Un fenomeno che stenta ad essere sradicato, nonostante il Governo sia impegnato in una strategia nazionale di contrasto alla violenza maschile contro le donne. Un segnale che evidenzia, probabilmente l’insufficienza e/o l’inefficacia delle politiche anti-violenza.
“Non sempre viene individuato subito il problema della violenza contro le donne – dice Mara Cortimiglia, coordinatrice del centro le Onde – non c’è ancora una sensibilità diffusa. In alcune relazioni c’è una tendenza a considerare normali le azioni violente. Questo non giova al contrasto del fenomeno, perché rallenta la possibilità di intervenire tempestivamente. Poi c’è un altro fattore – aggiunge – ed è quello di non dare il giusto peso alle situazioni che sono esposte dalle donne, alle quali viene detto di amplificare il problema e spesso tendono a ridurre quello che stanno vivendo. In queste circostanze la presenza dei centri anti violenza rappresenta una possibilità per le donne di assumere maggiore consapevolezza di sé, maggiore sicurezza e la capacità di distinguere l’amore dalla sopraffazione e dalla violenza”.
Per la coordinatrice del centro palermitano uno dei nodi che rallenta la fluidità e l’efficacia del loro intervento è anche “la discontinuità dei finanziamenti ai centri esistenti che non agevola le attività di contrasto al fenomeno. Di certo – aggiunge – è necessaria una formazione continua di tutte le figure coinvolte nel percorso di supporto delle donne che vivono la violenza. Tra le diverse problematiche c’è anche la difficoltà all’accesso ai servizi pubblici che il covid ha rallentato ancora di più. Il lockdown – conclude Cortimiglia – dovuto alla pandemia è stato duro d’affrontare perché oltre ad appesantire il lavoro delle operatrici ha impedito alle donne in difficoltà di venire in presenza”.
“La situazione è gravissima, la frequenza dei femminicidi lascia sgomenti – commenta l’avvocata Maddalena Giardina, che fa parte del centro di consulenza legale Udi di Palermo che collabora con le Onde – sull’aspetto normativo sono stati fatti dei passi avanti ma bisogna intervenire anche sulla cultura. Gli uomini dovrebbero interrogarsi, riflettere seriamente, lavorare su se stessi, dal momento che sono loro che uccidono le donne. Di fronte ad un fenomeno complesso ognuno deve fare la propria parte: singoli individui, tribunali, scuola, istituzioni, mezzi di comunicazione. Dal punto di vista giuridico la legislazione italiana è volta a contrastare la violenza sulle donne ed esistono degli strumenti importanti. Ma talvolta alcune situazioni vengono sottovalutate, in altre non emergono i fatti di violenza subita. È la richiesta d’aiuto che va attenzionata e valutata adeguatamente, in maniera da controproporre le misure adatte e intervenire subito”.
Per Daniela Dioguardi, docente in pensione e rappresentante dell’Udi Palermo, la repressione non è sufficiente, si deve prevenire il fenomeno. “Bisogna intervenire -spiega – nella relazione asimmetrica tra uomo e donna, esistente da millenni. L’uomo si sente legittimato alla violenza contro le donne. È fondamentale la formazione e quello che si trasmette a scuola. Ma c’è troppa semplificazione e confusione. Si pensa che sia utile intervenire con qualche progetto o aggiungendo qualcosa, ma non è così. Servono – aggiunge – docenti preparati e soprattutto consapevoli, in grado di leggere criticamente il patrimonio culturale androcentrico che ancora si continua a trasmettere a scuola per svelarne la falsa universalità e neutralità. Deve entrare nella scuola la consapevolezza che i soggetti pensanti, produttori di pensiero, sono sessuati, o maschi o femmine, nominare la differenza sessuale e rendere visibile la cancellazione nella storia, nella letteratura delle donne. Si devono rivoluzionare linguaggi, contenuti e metodologie, ricercare e affermare nuovi paradigmi. Ogni sforzo – conclude – va indirizzato a costruire una nuova civiltà di relazioni fondata sul rispetto della differenza”.