PALERMO– Una marcia che va da piazza Pretoria fino alla prefettura, un centinaio di persone, e infine una lettera, poi la commozione di chi vuole vederci chiaro sul proprio futuro, di chi deve dare un sostentamento alla propria famiglia e cerca risposte che da tempo non ha.
Ogni fiammella accesa, una speranza. E ‘ andata oggi in scena a Palermo una fiaccolata di solidarietà nei confronti dei lavoratori di Accenture organizzata dalle sigle sindacali Cgil Cisl e Uil a sostegno dei 262 lavoratori dei call center. Presenti anche il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e l’assessore Giovanna Marano. “262 più la città. Siamo impegnati nei tavoli nazionali per salvare i posti di lavoro. Questa vertenza – dice il sindaco – nei modi in cui viene condotta dai nostri lavoratori e veramente esemplare, è una spia, un segnale che l’amministrazione comunale ha seguito sempre e continuerà a seguire. Questi lavoratori hanno una dignità che non ha il diritto di essere mortificata”.
La situazione dei lavoratori dei call center diventa giorno dopo giorno più complessa.I dipendenti della società Accenture rischiano infatti di entrare in mobilità dal prossimo 15 gennaio. “La vertenza è giunta ad una fase di stallo – afferma Giuseppe Giallanza, Sru Slc Cgil -, abbiamo pensato di fare questa fiaccolata per riaccendere la speranza delle 262 persone che rischiano il posto di lavoro”. Una la data fondamentale che potrebbe chiarire il futuro dell’azienda e di conseguenza quella dei lavoratori. Si tratta dell’11 dicembre, quando vi sarà un incontro presso il ministero del Lavoro allo scopo di ricercare delle soluzioni alternative. Se non si riusciranno a trovare nuove soluzioni, allora la situazione potrebbe precipitare, e i lavoratori correrebbero il rischio di precipitare verso la mobilità.
Il corteo ha mosso i suoi passi da piazza Pretoria fino in prefettura, dove una delegazione è stata accolta. Proprio in Via Cavour, il momento di massima commozione. Una donna ha infatti, megafono alla bocca, letto una lettera che ha colpito al cuore tutti i presenti. “Quando la tua azienda ti vuole licenziare, anzi scusatemi – legge la donna – quando la tua azienda non ti vuole licenziare, ma ti vuole annullare come persona, vuole cancellare, distruggere quello che sei oggi, facendo finta che per quattordici anni non sei mai esistito. Quando la tua azienda ti costringe a rivedere la tua vita, i tuoi bisogni, quando ti fanno credere che questa lotta e inutile, ma dentro di me ci credo. Quando i tuoi figli ti dicono, mamma, oggi sei triste, quando a loro togli del tempo per stare in azienda, quando sei costretto a dire a qualcuno di supportarti. Quando devi indossare una maschera bianca, quando devi camminare senza volto per poter gridare che sei una persona e stai solo facendo di tutto per essere vista. Guardatemi – continua la donna leggendo le ultime righe della lettera -, sono qui, c’è io, c’è lui ci siamo noi, siamo in tanti, non siamo solo 262, siamo dei lavoratori di questo splendido paese che è l’Italia, ma che spesso sembra bello solo a parole. Cosa chiediamo? Di lavorare, semplicemente di lavorare, e in modo dignitoso. E vorrei dire a chi ancora oggi una poltrona ce l’ha, di far finta di indossare per un giorno una maschera bianca, un senza volto. Una faccia sotto c’è, ed è la tua, nessuno la vede però. Noi tutti stiamo subendo dei gravi danni morali, che nessuno potra mai ripagarci”.