Mentre in Italia non si spengono le polemiche per l’insuccesso del cinema italiano a Venezia, negli Stati Uniti un film italiano viene accolto con tutti gli onori. E’ La siciliana ribelle, di Marco Amenta, presentato all’Istituto italiano di cultura di Los Angeles e applaudito da pubblico e critica. Il film è liberamente ispirato alla figura di Rita Atria, “a picciridda”, giovanissima testimone di mafia che il giudice Paolo Borsellino prese sotto la sua ala e che morì suicida una settimana dopo l’attentato di Via D’Amelio. Marco Amenta giornalista, documentarista e regista, aveva già raccontato la storia di Rita Atria in un documentario, I diari di una siciliana ribelle. Ora, in questo film, ha voluto interpretare il percorso di affrancamento dalla cultura mafiosa della ragazza, sviluppando la storia da un punto di vista più romantico. “La fiction ti dà modo di interpretare la realtà, senza perderla”. Protagonista del film è la giovanissima Veronica D’Agostino, che il Newsweek ha paragonato addirittura ad Anna Magnani. La storia si sviluppa in un arco di tempo di una decina d’anni dalla morte del padre di Rita in un agguato mafioso, sino al suicidio della ragazza, ad appena diciassette anni, e racconta il percorso di crescita di Rita che, prima solo animata da sete di vendetta, annota in una serie di diari nomi e le azioni degli esponenti mafiosi del paese di Partanna e poi consegna quei diari al procuratore di Palermo. Marco Amenta, palermitano trasferitosi a Parigi per studiare giornalismo e cinema e poi tornato nella sua città natale per raccontarne le storie, riesce sapientemente a disegnare l’evoluzione culturale della ragazza, la sua capacità di affrancarsi da quella mentalità mafiosa che rappresenta la vera vittoria della mafia sulla legalità: Rita voleva vendetta, ma è finita per chiedere giustizia. Curato da Sergio Donati, lo sceneggiatore di Sergio Leone, il copione del film si sviluppa fra dialoghi in dialetto siciliano e in italiano, ma il linguaggio più immediato è diretto è quello delle immagini: la pistola del padre, portata in aula dalla ragazza quale prova concreta delle vicende raccontate nel diario, è un’immagine forte e diretta, che Amenta conferma essere un escamotage cinematografico nato da un’idea di Donati: “Quella pistola, tenuta in mano dalla ragazza, è capace di semplificare una lunga storia e renderla immediata e fruibile al linguaggio cinematografico”. Il successo del film di Amenta negli Stati Uniti (é stato distribuito in oltre 20 città, fra cui New York, Los Angeles, San Francisco e Chicago) dimostra che il cinema italiano ha ancora qualcosa da dire nel mondo e che la teoria annunciata recentemente da Gabriele Salvatores secondo cui il nostro cinema è schiavo del suo glorioso passato può non essere del tutto vera: “Quando i film italiani riescono ad essere distribuiti negli Stati Uniti – dice Amenta – la critica e il pubblico li apprezza. La siciliana ribelle è arrivato ad essere fra i primi cinque film nella classifica del New York Times fra i film più popolari fra i lettori e i critici”. “Per questo film – aggiunge Amenta – non sono stato minacciato, sono stato portato in tribunale: molti mafiosi mi hanno fatto causa. Persino la madre di Rita mi ha chiesto un risarcimento. Ha perso”. Amenta sostiene anche il ruolo dei criticati finanziamenti statali al cinema italiano: “Questo film è stato finanziato dal ministero dei beni culturali come opera prima, finanziamento grazie al quale il film esiste e che dimostra che spesso il Mibac ha aiutato opere che poi riescono ad essere esportate nel mondo con ottimi risultati”. Gianfranco Fini ha voluto che la prima si tenesse in Parlamento e La siciliana ribelle è ora il film più visto nelle scuole italiane.
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