Agrigento, chiuso il processo inchiesta Xidy: condanne pesanti

Agrigento, chiuso il processo legato all’inchiesta Xidy: condanne pesanti

Ci sono anche quattro assolti, tra loro il "postino" di Provenzano

AGRIGENTO – Quattro assoluzioni e nove condanne. Si chiude così il processo di appello scaturito dall’inchiesta Xidy, l’operazione dei carabinieri del Ros che agli inizi del 2021 azzerò l’intero mandamento mafioso di Canicattì facendo luce anche sul prepotente ritorno della Stidda in provincia di Agrigento.

La sentenza è stata emessa dalla seconda sezione penale presieduta dal giudice Antonio Napoli. Rispetto al primo grado, quando furono inflitte tredici condanne, ci sono quattro nuove assoluzioni e alcuni ridimensionamenti di pena.

Le condanne più pesanti

La più significativa (9 anni e un mese di reclusione rispetto ai 15 anni e 4 mesi ) è quella che riguarda Angela Porcello, un tempo penalista del foro di Agrigento prima di diventare la cassiera dell’intero mandamento nonché la compagna dell’uomo d’onore Giancarlo Buggea. Tra le righe anche il tentativo di avviare un percorso di collaborazione con la giustizia. Uno status che non le è mai stato riconosciuto. 

L’impianto accusatorio, comunque, regge. Proprio a Buggea, ritenuto esponente di vertice di Cosa nostra agrigentina, sono stati inflitti 20 anni di carcere.

Confermate anche le condanne nei confronti di boss di primo piano dell’agrigentino: lo storico capo mandamento Lillo Di Caro (30 anni in continuazione con vecchie sentenze), il capomafia di Ravanusa Luigi Boncori (20 anni) e il capo della famiglia mafiosa di Favara Giuseppe Sicilia (18 anni e 8 mesi).

E ancora: Calogero Paceco (8 anni), Diego Emanuele Cigna (8 anni e 5 mesi), Gregorio Lombardo (17 anni e 4 mesi)e il poliziotto Giuseppe D’Andrea (3 anni e 4 mesi).

Le assoluzioni

Quattro, invece, le assoluzioni. La più “pesante” è certamente quella di Simone Castello, il “postino” di Bernardo Provenzano: esce indenne dal processo dopo aver rimediato 12 anni in primo grado. Assolti anche l’avvocato Annalisa Lentini, l’appuntato della polizia penitenziaria Giuseppe Grassadonio e Vincenzo Di Caro, titolare di una posta privata. 

I condannati con il ritro abbreviato

Altri nove imputati hanno scelto la via del rito ordinario. Per sette di loro, lo scorso mese, sono arrivate pesanti condanne: 22 anni di reclusione al boss ergastolano Giuseppe Falsone, ritenuto ancora oggi il capo indiscusso di Cosa nostra agrigentina; 29 anni ad Antonino Chiazza, ritenuto il capo della “nuova” Stidda di Canicattì, organizzazione che dopo essersi scontrata militarmente con Cosa nostra, sarebbe tornata in auge facendo affari con la stessa; 22 anni e 28 anni di reclusione rispettivamente ad Antonio Gallea e Santo Gioacchino Rinallo, entrambi ergastolani in semi-libertà già condannati in via definitiva per la partecipazione alla Stidda.

Gallea è uno dei mandanti dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, ucciso il 21 settembre 1990; Rinallo, uno dei killer più spietati dalle Stidda, è stato condannato all’ergastolo per il duplice omicidio dei fratelli Ribisi, esponenti di primo piano di Cosa nostra di Palma di Montechiaro.

Sia Gallea che Rinallo, dopo aver scontato ininterrottamente venticinque anni di carcere, avevano ottenuto permessi premio in nome di un presunto ravvedimento. Il primo faceva volontariato e aveva intrapreso un percorso di studi mentre il secondo era diventato un cuoco e cantava in un coro gospel.

Diciotto anni di reclusione a Pietro Fazio, ritenuto uno dei membri della nuova Stidda, riconducibile al gruppo di Chiazza-Gallea-Rinallo; 12anni e un mese di reclusione all’ex ispettore del commissariato di Canicattì, Filippo Pitruzzella.

L’ex poliziotto è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa poiché, secondo l’accusa, avrebbe “passato” informazioni riservate al boss Giancarlo Buggea tramite l’ex compagna e avvocato Angela Porcello. Un anno e sei mesi, infine, a Stefano Saccomando, condannato per favoreggiamento ma con l’esclusione dell’aggravante mafiosa. 


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