Antimafia allo Zen, la fine della favola e la speranza

Antimafia allo Zen, la fine della favola e la speranza

Le conseguenze della vicenda della preside Lo Verde. L'antimafia è morta?

Tanti stanno celebrando l’ennesimo funerale, metaforico e pubblico, dell’antimafia, stavolta in minuscolo. L’arresto della preside dello Zen, la professoressa Daniela Lo Verde – si dice – ha dato un duro colpo alla speranza di un intero mondo. Può essere, ma solo se guardiamo ai volti fieri delle persone oneste che abitano nel quartiere. La favola dell’Antimafia – come si scriveva, in maiuscolo – da tempo è finita, si è disseccata nel cattivo esempio continuato di troppi che hanno commesso abusi in suo nome. Tanto che un uomo generoso e acuto come don Luigi Ciotti ha sottolineato, sul punto, cose definitive: “La parola antimafia vada in quarantena permanente”.

Ecco perché preoccuparsi del futuro di una suggestione retorica, in sé, ha poca importanza. Forse può averne per chi pensa di trarre ancora potere e legittimazione da un preambolo, senza dimostrare alcunché. Forse la discussione è interessante per chi, a colpi di indice di gradimento, si preoccupa di non scendere in una immaginaria classifica dei puri. Forse chi officia, in pompa magna, le esequie di una retorica è soprattutto interessato a rianimarla, a non disperderla. Mentre dovremmo tenere alta l’attenzione sull’impegno concreto

C’è stato un momento in cui l’antimafia fu la bandiera di un popolo, una rotta da seguire, una distinzione morale gratuita che apriva alla partecipazione, al cambiamento, alla rivoluzione. Accadde dopo le stragi, quando i siciliani si sentirono colpiti al cuore dall’affronto e dalla sofferenza del martirio dei giusti. Lì nacque, con le sue ingenuità, una vera svolta spontanea che si sarebbe esaurita, nel suo enunciato collettivo più nobile, perché mortificata dalla consorterie e dalle fazioni. Restano coloro che lavorano nell’ombra. Resta la definizione che si attaglia, nella narrazione, al caso dello Zen. Cosa c’era di più antimafioso di una dirigente scolastica che educa e provvede, affinché i suoi alunni trovino un orizzonte, oltre lo spaccio, attività criminale gestita da Cosa nostra? Da qui il cortocircuito.

Ma davvero è arrivato il momento di mutare prospettiva e di pensare alle persone, più che alle formule. Allo Zen, a Palermo, ovunque, ci sono generazioni da salvare, da soccorrere, da indirizzare. E questo si può fare ancora, come si potrà sempre. Se proprio abbiamo bisogno di una parola per raccontare una resurrezione possibile, c’è già, è antica e disponibile. Basta la speranza. (rp)


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