L'antimafia dei tempi biblici| Processi e inchieste infiniti - Live Sicilia

L’antimafia dei tempi biblici| Processi e inchieste infiniti

Ci sono casi di politici e imprenditori che hanno passato e passano una buona fetta della propria vita a difendersi da infamanti accuse.

PALERMO – Teniamo blindato, ci mancherebbe, il principio che tutte le inchieste e i processi sono legittimi e sacrosanti in nome della verità. Che almeno, però, abbiano la ragionevole durata garantita dalla Costituzione. Ed invece la storia ci insegna che i tempi della giustizia sono troppe volte biblici.

Ci sono casi di politici e imprenditori che hanno passato e passano una buona fetta della propria vita a difendersi da infamanti accuse. Su tutte, quelle di mafiosità che spesso si concretizzano nel tanto discusso reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Roba serissima.

L’ultimo caso è quello di Antonello Montante. Il presidente degli industriali siciliani, come tanti, si starà chiedendo quanto durerà la sua indagine. Arrivare alla verità prima possibile sarebbe cosa buona e giusta, innanzitutto – non ce ne voglia Montante – “in nome del popolo italiano”.

Il punto è che scorrendo l’elenco degli indagati-imputati eccellenti ciò che va a farsi benedire è proprio la ragionevole durata. I confini della ragionevolezza, infatti, sono tanto labili da apparire in alcuni casi grotteschi.

Calogero Mannino, ad esempio, seppe di essere indagato nell’inchiesta sulla Trattativa Stato-mafia nel febbraio 2012. Poi, scelse di essere processato con l’abbreviato. È stato assolto nel novembre scorso, a quasi tre anni di distanza dal momento in cui i suoi legali chiesero di fare in fretta. E così il processo all’ex ministro Dc è diventato uno degli abbreviati più lunghi della storia giudiziaria italiana. A dire il vero i guai giudiziari di Mannino sono iniziati più di vent’anni fa. E potrebbero non essere finiti visto che, una volta pubblicate le motivazione, la Procura potrebbe fare appello contro l’assoluzione.

Sono durate quindici anni, tra richieste di archiviazione e inviti ad andare avanti, le indagini su Renato Schifani. Alla fine non c’erano i requisiti minimi per mandare sotto processo l’ex presidente del Senato. L’inchiesta, già in passato archiviata, era stata riaperta nell’estate del 2010. Sul fascicolo spuntò il nome Schioperatu per garantire il massimo della riservatezza alla seconda carica dello Stato. E vi confluirono le dichiarazioni di alcuni pentiti. Emersero relazioni che non valsero, però, “per sostenere un’accusa in giudizio”.

Tempi lunghi anche per l’ex ministro Saverio Romano che ha atteso otto anni prima di vedere chiusa, e a suo favore, nel 2013 la vicenda processuale che lo vedeva imputato per concorso esterno. Lo stesso reato caduto, due mesi fa, per l’editore catanese Mario Ciancio. Per lui è arrivata l’archiviazione. Aveva saputo di essere indagato nel 2010. Correva l’anno 2010 anche quando venne a galla l’inchiesta Iblis che coinvolse l’allora presidente della Regione Raffaele Lombardo, condannato in primo grado a sei anni e mezzo di carcere. Il processo d’appello è ancora in corso.

Senza contare gli imputati che di processi ne hanno più di uno in corso, alcuni intrecciati fra loro. Come il generale Mario Mori, ad esempio, assolto per la mancata perquisizione del covo di Riina, assolto in primo grado per la mancata cattura di Provenzano e imputato del processo sulla Trattativa.

La domanda è sempre la stessa, quanto durerà? Se lo chiedono gli imputati cosiddetti eccellenti, e pure quelli che eccellenti non sono. Perché l’irragionevole durata dei processi è davvero una livella. I numeri sono impietosi. Lo Stato ha accumulato debiti per 700 milioni di euro per indennizzi ai cittadini che hanno sfruttato la legge Pinto, ottenendo una condanna per i tempi lunghi della giustizia. Ad ogni inaugurazione di anno giudiziario gli esperti denunciano i mali della giustizia, senza, però, riuscire a trovare i rimedi.


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