Antimafia regionale: | indagini o passerelle? - Live Sicilia

Antimafia regionale: | indagini o passerelle?

Viaggio nella commissione dell'Ars, che nelle ultime settimane ha discusso di massimi sistemi con storici, accademici, giornalisti e magistrati. Il presidente Musumeci: "Ma per la prima volta in questa legislatura abbiamo fatto denunce senza aspettare la magistratura". E la settimana prossima si vota la relazione sul caso del Cara di Mineo.

PALERMO – È il 23 settembre del 2015 e a Palazzo dei Normanni si parla di massimi sistemi. Giorgio Ciaccio, deputato grillino, chiede “se la mafia negli ultimi anni si sia trasformata e, in particolare, se abbia conquistato nuovi spazi fondati su un nuovo compromesso con lo Stato”. Ah, saperlo. La risposta non tarda. E la fornisce il professor Salvatore Lupo, storico di chiara fama. Che, stando al riassunto pubblicato on line sul sito dell’Ars, spiega al giovane parlamentare pentastellato che, testualmente, “è possibile che la mafia possa tornare a essere una struttura di servizio”. Tutto ciò accade in una seduta, una delle tantissime, della Commissione Antimafia dell’Ars. Attivissima sotto la presidenza di Nello Musumeci, la commissione negli ultimi mesi ha offerto un’occasione di passerella a storici, giornalisti, magistrati e affini, per una “Indagine conoscitiva sul rapporto tra mafia-politica in Sicilia con riferimento al periodo tra il 1992/2012”. Progetto ambiziosetto, nevvero, nell’ambito del quale si sono già fatti vedere a Palazzo, oltre allo storico “eretico” (per l’Antimafia tradizionale e militante) Lupo, anche Giovanni Fiandaca, Claudio Fava, Giuseppe Carlo Marino e Gioacchino Natoli, presidente della Corte d’appello di Palermo, con il quale i commissari si sono soffermati per un paio d’ore su varie ed eventuali dello scibile umano dal processo Andreotti alla “competizione mafia-Stato”. Ma passerelle a Palazzo e riverenze agli ermellini servono davvero a contrastare la mafia?

“No, non facciamo passerelle, quella è un’indagine conoscitiva, secondo lo spirito della legge istitutiva della Commissione Antimafia regionale del 1991 – rivendica appassionatamente Nello Musumeci, che presiede in questa legislatura l’organismo parlamentare -. Nessuno si era mai preoccupato di promuovere un’indagine su mafia e politica in Sicilia spezzando quel cordone di solidarietà che ha tenuto insieme politici chiacchierati e politici perbene. Sarà pubblicata a febbraio”. Ma avrà una qualche utilità? “È un materiale straordinario, messo a disposizione della magistratura e degli studiosi”, commenta Musumeci. E in effetti dalle tonnellate di carte prodotte dall’Antimafia nazionale, sorella maggiore di quella dell’Ars, in questi anni tra i pochi a trarre qualche beneficio sono stati proprio studiosi e saggisti che scartabellando hanno potuto riempire pagine su pagine.

Ma a onor del vero, la commissione Antimafia in questa legislatura s’è occupata anche di tanto altro. Riunendosi più o meno settimanalmente. E la settimana prossima si prepara a un passaggio quasi epocale. E sì, perché trent’anni dopo la sua istituzione (nel 1984 con un ordine del giorno, nel 1991 per legge regionale), finalmente mercoledì, annuncia Musumeci, si voterà una relazione su qualcosa. In particolare sul caso del Cara di Mineo. “L’Antimafia dovrebbe predisporre relazioni finali che diventano materia per il parlamento – spiega Musumeci -. Ma nei trent’anni passati non ha mai votato una relazione. Adesso ne ha tre, una sarà votata mercoledì mattina e riguarda il centro Cara di Mineo. Un’indagine che noi abbiamo promosso un anno prima che scoppiasse lo scandalo di Mafia Capitale. Le altre due saranno votate certamente prima di Natale. Una è relativa a presunte contiguità tra alcuni consiglieri comunali di Catania e soggetti mafiosi. L’altra quella sugli Istituti autonomi case popolari in Sicilia”.

E non sono questi i soli temi su cui i quindici commissari Antimafia (è l’unica commissione in cui i deputati non possono essere sostituiti e che ha un proprio regolamento, diverso da quello d’Aula) si sono cimentati in questa legislatura. Una mega indagine prosegue da tempo sul tema rifiuti e discariche, migliaia di fogli tutti segretati fin qui. Un’altra riguarda le partecipate. “Ci occupiamo delle responsabilità politiche o amministrative, non delle responsabilità penali che sono delle procure – spiega Musumeci -. Ci occupiamo dell’etica, della così detta zona grigia, delle irregolarità e delle illegalità che si configurano nelle attività gestionali”. Nel corso del 2014 la commissione ha svolto trentasette sedute, ha effettuato quarantotto audizioni, ha aperto otto inchieste. Quest’anno, tra l’altro, ha licenziato il ddl sul codice etico per politici e burocrati. Insomma, procede a passo assai lesto in confronto ai ritmi lenti di Palazzo dei Normanni e di certo non la si può accusare di battere la fiacca.

Tutto ciò serve davvero a qualcosa? Questo è un altro discorso. Antico, per la verità. Un dibattito consumato accompagna da anni l’Antimafia nazionale, sulla cui utilità i dubbi sono tanti e radicati. Diego Gambetta, studioso delle mafie, definì anni fa la commissione antimafia nazionale un organismo che è “servito come una palestra in cui le forze al governo permettevano all’opposizione di sinistra di menare pugni antimafia purché rigorosamente nel vuoto…”. E a Roma, almeno, i commissari dispongono di poteri straordinari, analoghi a quelli degli organi inquirenti. A Palermo nemmeno quello, altrimenti ci sarebbe un doppione. All’Antimafia regionale spetta “vigilare ed indagare sulle attività dell’amministrazione regionale e degli enti sottoposti al suo controllo, sulla destinazione dei finanziamenti erogati e sugli appalti”. La commissione “assume ogni altra iniziativa di indagine e proposta per il migliore esercizio delle potestà regionali in ordine al fenomeno mafioso in Sicilia”. E così, nell’ambito di queste prerogative, l’Antimafia regionale nel 2014, ad esempio, si è interessata (sollevando dei rilievi) del tema della gestione dei beni confiscati, prima che scoppiasse il caso dell’inchiesta di Caltanissetta, o dello scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose, rilevando “varie incongruenze e criticità nel funzionamento dell’istituto dello scioglimento”. Denuncia approdata al Parlamento nazionale dove si lavora a una riforma. “Mai prima la politica ha fatto una denuncia, ha sempre aspettato la magistratura”, tiene a sottolineare al riguardo Musumeci.

E qui arriviamo al punto: quanto di tutto questo indagare si traduce poi in atti concreti? Secondo la relazione dello stesso Musumeci sull’attività del 2014, nella storia della commissione “tanto è stato realizzato ma tanto, molto di più poteva essere fatto. La politica non ha avuto spesso il coraggio di rompere quel cordone di solidarietà che tende a tenere stretti i collusi e gli onesti, spesso interessata più a gestire il potere che a cercare il libero consenso, scevro da condizionamenti o ricatti”. Ora, rivendica Musumeci, sono arrivate le denunce. Saranno sufficienti a invertire l’andazzo di un trentennio di poca o nulla utilità?

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