CATANIA – Un appello commosso ma fermo a continuare ad aiutare la comunità ucraina coinvolta nell’invasione russa: è quello che è stato lanciato da Oksana Sekela e Iryna Arkhypenko, due donne ucraine che vivono in Sicilia, durante una giornata di studi e conferenze che si è svolta nel dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Catania. Nel corso della manifestazione, dal titolo “Ucraina/Europa: le ragioni della solidarietà e le prospettive geopolitiche del continente”, si sono susseguiti gli interventi di Monsignor Antonino Raspanti e di esponenti di Protezione Civile e Croce Rossa Italiana, oltre che dei docenti Pinella Di Gregorio, Felice Giuffrè, Salvatore Zappalà e Stefania Mazzone.
Le testimonianze
Quando prende il microfono Oksana Sekela è emozionata: legge da un foglio, ma è visibilmente turbata da quello che sta succedendo ai suoi parenti e amici. Sekela è originaria di Leopoli, nell’Ucraina occidentale: “Ho due fratelli che in questo momento stanno combattendo i russi come cittadini volontari – racconta – i miei nipoti ogni giorni vivono sotto il terrore dei bombardamenti e il suono delle sirene, e sono costretta a vivere ogni giorno le immagini che i miei parenti e le televisioni di tutto il mondo mostrano”.
“Molti – prosegue Sekela – mi chiedono cosa stia accadendo alle porte dell’Europa, per non dire proprio in Europa, e anche io non so darmi una spiegazione. Il mio paese – dice ancora – è diventato campo di scontro tra grandi potenze, la Russia da una parte e la Nato dall’altra, interessi economici a cui il popolo ucraino è costretto a sottostare trovandosi a combattere ogni giorno per difendere le proprie terre. Quello che voglio dirvi è che l’Ucraina vorrebbe essere detentrice del potere dell’autodeterminazione, essere capace di poter decidere il proprio destino senza interferenze. Non comprendo come sia possibile lasciare un popolo a combattere da solo una superpotenza di queste dimensioni”.
Sekela si commuove poi parlando del mare di Odessa: “Ha ispirato una famosa canzone italiano, O sole mio”, e si ferma tra gli applausi dell’aula, che ha ascoltato senza muovere un muscolo il suo intervento.
Subito dopo ha parlato Iryna Arkhypenko, parte della comunità ucraina in Sicilia: “Io sono ucraina, noi siamo ucraini: diamo tutto il supporto che possiamo, perché è difficilissimo restare a casa e sentire i parenti, a casa, che sono in pericolo di vita. Spesso mi sento in colpa perché io sono qui al sicuro e loro sono lì, per questo facciamo di tutto per aiutare loro. Lo facciamo anche per scacciare i brutti pensieri, la paura per i parenti rimasti a casa e che non sanno cosa fare, se rimanere a casa che è pericoloso o se scappare, che è altrettanto pericoloso, dato che non esistono davvero i corridoi umanitari e sparano”.
La Chiesa
Collegato in videoconferenza, Monsignor Antonino Raspanti, vescovo di Acireale, fa delle considerazioni su come il conflitto in Ucraina sia visto dalla Chiesa: “Abbiamo studiato tutti un po’ di storia e ricordiamo il percorso diverso della Chiesa Romana da quella d’Oriente. Il potere statale ha sempre avuto una grande influenza sulle Chiese d’oriente, e dopo la caduta dell’Union Sovietica c’è stato il processo inverso a quello dell’ateizzazione di stato, sulla linea di una sudditanza con il potere politico. Nell’ultimo anno si è avuta una quasi rottura tra il patriarcato di Mosca e quello di Costantinopoli, e questo ha avuto ripercussioni anche in Ucraina, dove c’è una Chiesa legata al Papa ma anche una Chiesa ortodossa legata a Mosca e una a Costantinopoli. Tutto questo ha causato delle rotture, perché è chiaro che ci sono commistioni tra interessi politici e sociali e la Chiesa”.
“La Chiesa – dice ancora Raspanti – vive nella Terra ed è fatta di persone che creano, lavorano, vivono e tutto questo inevitabilmente crea interessi. La natura umana è corrotta al suo interno, e dunque gli egoismi entrano nella vita quotidiana, anche della Chiesa. Pur non essendo esente da queste dinamiche, la Chiesa ha comunque sempre cercato di mantenere un atteggiamento al di sopra delle parti, ma sempre dalla parte dei più deboli e di chi soffre. Oggi la Diocesi assiste le diverse Caritas, sia cattolica che ortodossa. Ma soprattutto noi piangiamo allo stesso modo anche i soldati russi, ingannati per andare in guerra, e i loro genitori. La guerra è una tragedia e la religione di Gesù Cristo vuole la pace”.
Il dispositivo di soccorso
A illustrare gli interventi in corso messi in atto per il popolo ucraino, sia per chi è in viaggio verso la Sicilia che per chi è rimasto nella zona di guerra, sono Salvo Cocina, capo dipartimento della Protezione civile siciliana, e Silvia Dizzia, del comitato catanese della Croce Rossa Italiana. La Protezione civile, racconta Cocina, sta mettendo insieme “una macchina dell’accoglienza che coinvolge comuni, regione, Croce Rossa. Il punto in questo momento è trovare delle sistemazioni, pensiamo a trovare ospitalità nelle famiglie, dando alcuni contributi, ma anche le vie tradizionali: case d’accoglienza, strutture”.
Poi l’altro nodo della questione, ovvero l’aiuto di chi rimane in Ucraina: “Ci stiamo muovendo – dice Cocina – con diverse Ong, con l’Unhcr, e in questo momento stiamo lavorando per raccogliere beni e organizzare la spedizione. La nostra logica non è sostituirci alla società civile, ma aiutarla. Facciamo la scelta di supportare il volontariato, mettendo insieme i volontari, i cittadini attivi che selezionano e smistano il materiale, e abbiamo già diverse piattaforme per stoccare le donazioni dei cittadini, caricamento su pallett e tir e poi spedizione al confine polacco”.
Del dispositivo di soccorso fa parte anche la Croce Rossa Italiana, per la quale parla Silvia Dizzia: “Il Comitato Internazionale della Croce Rossa – racconta – opera in Ucraina con la consorella ucraina, raccogliendo fondi mirati all’acquisto di beni di prima necessità e sanitari, che vengono poi spediti nel territorio ucraino e nei paesi limitrofi, sempre alla CRI. In più noi svolgiamo servizio d’accoglienza a Catania: quando arrivano persone dalla Polonia o paesi limitrofi, scappate dall’Ucraina, facciamo sì che le persone accolte possano raggiungere i familiari e diamo una prima sistemazione mentre si trovano qui. Lavoriamo poi con la Prefettura e le associazioni che hanno offerto alloggi temporali. Questo per noi è uno scenario d’accoglienza, che svolgiamo a 360 gradi. Una situazione che per il momento è gestibile, diversa dall’accoglienza che dobbiamo dare in luoghi di sbarco”.