Dicono che fosse l’erede di un pezzo da Novanta. Le manette sono scattate a Caccamo. E nella rete è finito Giorgio Liberto (72 anni), il presunto capomandamento, colui che avrebbe sostituito “Manuzza” Giuffrè nell’organigramma del consorzio mafioso di una provincia notoriamente calda, anche se ormai lontana dai centri di potere della Cosa nostra che conta.
Dopo l’arresto di Nino Giuffè la famiglia di Caccamo sembrava “sparita” dalle gerarchie di Cosa nostra. Dopo due anni di indagini gli agenti della squadra mobile di Palermo e del commissariato di Termini Imerese, guidato da Francesco Cassataro, sono riusciti a ricostruire l’organigramma della famiglia di Caccamo. E in manette è finito quel Giorgio Liberti che lo stesso “manuzza” aveva nominato suo braccio destro. “Ed è interessante notare come i vecchi mafiosi come Giuffrè – dice il procuratore aggiunto Vittorio Teresi che ha coordinato l’inchiesta col sostituto Lia Sava – hanno cura nell’affidarsi solo a persone particolarmente ‘collaudate’ nella conoscenza delle dinamiche interne all’associazione mafiosa. Non c’è più l’abitudine ad affidarsi a giovani rampanti per la mancanza di affidabilità, esperienza e ‘tenuta’. Liberti, invece, sapeva come atteggiarsi anche nei rapporti con le altre famiglie mafiose”.
Liberti, accusato di associazione mafiosa, è state accusato dalle dichiarazioni dalle stesse dichiarazioni di Nino Giuffrè ma anche di Ciro Vara – che avrebbe conosciuto Liberto di persona, presentatogli come uomo d’onore della famiglia di Caccamo – e Giovanni Brusca.
In manette sono finiti anche Gioacchino Priolo e Salvatore Pollina. Sono accusati di aver favorito Diego Guzzino, già boss di Caccamo, avvertendolo anche del fatto che di fronte la sua casa fosse stata montata una telecamera dalle forze dell’ordine.
“La carriera di Liberto – spiega il capo della squadra mobile di Palermo, Maurizio Calvino – si affianca a quella di Giuffrè. Quando questi è stato combinato, siamo attorno al 1980, Liberto era lì presente”.
Su Liberto pesa anche il sospetto, palesato da Giuffrè, di aver fatto parte del gruppo di fuoco che ha ucciso il candidato sindaco di Caccamo, Domenico Geraci. Per questo, successivemente a questo episodio, Liberto sarebbe stato ‘posato’.
Gli affari. Dalle intercettazioni viene fuori che la famiglia di Caccamo compiva quello che il procuratore Teresi definisce “la condotta istituzionale di Cosa nostra”. Quindi il settore edile, prima di tutto, con lunghe conversazioni a proposito della costruzione di ville. Poi il tessuto commerciale delle imprese e le infiltrazioni al Comune. Un assessore all’Urbanistica sarebbe “uomo di fiducia dei boss – sottolinea Teresi – che con il figlio di Liberto condivideva una società”.