Gigi Del Neri è un cumulo di stranezze e di equivoci. Primo. Si scrive Delneri, a sentire la carta d’identità, ma tutti scrivono Del Neri. Solo qualche chic si attiene al dettato anagrafico. Secondo. Del Neri fu il mister che sulla panca del Palermo guidò la squadra al successo col gioco più bello della galleria rosanero. Un tre a due contro l’Inter che mostrò il miracol allo stupefatto pubblico rosanero. Ed era il Palermo di Caracciolo e Makinwa. E in porta c’era Nicola Santoni, un passante. Eppure non bastò.
Terzo. Luigi Del Neri comincia a piacere davvero quando lascia lo splendore del suo calcio clivense, il suo marchio celeste col quattro quattro due portato soprattutto all’offesa, quando inizia a diventare un saggio mercante di punti. La sua Sampdoria non ha copiato tantissimo del carisma spensierato che rese eccelsi gli Asinelli e le loro prestazioni all’arma bianca. E’ squadra arcigna, capace di rubacchiare. Lo schema è talmente misurato che perfino un Guidolin qualsiasi potrebbe sfruttarlo con ragione. Il duo “Pazzano” (Pazzini + Cassano) nella prateria brada delle difese altrui, il resto arroccato nel fortino a protezione di Storari, portiere che deve la sua forza ai capelli, come Sansone.
Noi, per un fatto estetico e di convenienza, avremmo preferito ritrovare al “Barbera” il Gigi Del Neri di un tempo. Quello che organizzava partite splendide. E, da gran signore, sapeva perdere (ma qualcuna la vinceva), con l’onore delle armi. Gli avremmo sottoposto un’offerta da non rifiutare: tre punti a noi, la gloria a lui.
Invece, il Palermo avrà davanti un avversario temibile. Luigi, che ad Aquileia chiamano ancora Gino, ha cambiato montatura degli occhiali e modificato filosofia quel tanto che basta per proteggersi di più. Confeziona squadre compatte, al solito. Tuttavia mostra un’anima più coriacea e meno lieve. Ed è maturato. Ora sa vincere pure le sfide importanti, i passaggi che possono cambiare il curriculum di un allenatore.
L’esperienza è stata raccolta ed è sbocciata grazie a traumi tecnico-umani: la brutale cacciata col Porto, l’esonero col Palermo e prima ancora il complesso iter sulla panchina di una Roma squinternata. Allora Cassano gli era nemico. Era un tanghero tutta arroganza e brufoli. Sono cresciuti insieme.
Il mister della più bella partita rosanero sarà dunque di casa al “Barbera”. Troppa la posta in palio per aspettarsi un caloroso bentornato. Magari sarebbe una sorpresa gradita accoglierlo con tenue applauso di ringraziamento, per essere stato uno del Palermo, con passione e competenza. Del resto, Luigi Delneri o Del Neri è abituato alle sorprese. Una volta confidò a Gianni Mura: “Sulla tomba dei miei genitori ci sono due fiori rossi. Nessuno sa che fiori sono. Nessuno li ha piantati. Eppure sono lì”. Sorprese, appunto. Stranezze. Miracoli.
Partecipa al dibattito: commenta questo articolo