Asse mafioso Palermo-Milano| I boss con il Rolex sopra il polsino - Live Sicilia

Asse mafioso Palermo-Milano| I boss con il Rolex sopra il polsino

Il duomo di Milano

Da Masino Buscetta a Gaetano Fontana. Storia dei mafiosi all'ombra della Madonnina.

PALERMO – Nel 1970 una macchina viene fermata ad un posto di blocco in via Romilli, a Milano. A bordo ci sono Tommaso Buscetta, Gerlando Alberti, Gaetano Badalamenti e Tanino Fidanzati. Il gotha della Cosa Nostra di allora.

Una informativa ingiallita dal tempo racconta che “Badalamenti, nonostante il soggiorno obbligato, si muove liberamente e mantiene i contatti con altri affiliati, primo fra tutti Gerlando Alberti e il suo nucleo mafioso, nonché con i latitanti Buscetta Tommaso, Greco ciaschiteddu e con Calderone Giuseppe. Badalamenti è fotografato mentre va a casa di Gerlando Alberti a Cologno Monzese, è solito incontrare nella zona di Macherio Gaetano Fidanzati e Faro Randazzo, è controllato dalla polizia il 17 giugno 1970 insieme a Gerlando Alberti, Giuseppe Calderone, Tommaso Buscetta e Salvatore Greco”.

La verità è che i mafiosi sono sempre stati di casa a Milano. Le cronache vanno aggiornate con il sequestro della gioielleria di Gaetano Fontana che per investire aveva scelto una vetrina scintillante nel quadrilatero della moda

Milano è la città dove Vittorio Mangano, morto in carcere, si trasferì a lavorare come stalliere in una lussuosa villa ad Arcore. Tramite Marcello Dell’Utri era stato incaricato di proteggere l’imprenditore Silvio Berlusconi. Erano gli anni Settanta. Si inaugurava quell’asse Milano-Palermo che rimasto solido.

Un asse fatto di affari e protezione. Come quella goduta da Gianni Nicchi. L’astro nascente di Cosa nostra a Milano ha trascorso parte della sua latitanza. Dove? A casa di Pino Porto. Non è un caso che proprio a Milano, secondo i pentiti Nino Nuccio, Franco Franzese e Andrea Bonaccorso, si era spostata la caccia dei boss Lo Piccolo che volevano ammazzare il figlioccio di Nino Rotolo, boss dell’Uditore.

Pino Porto, soprannominato Pino il cineseentrò in affari con Cinzia Mangano, figlia di Vittorio, il reggente del mandamento mafioso di Porta Nuova che divenne stalliere, in un consorzio di cooperative di facchinaggio, trasporti e logistica. La donna era sposata con Enrico Di Grusa, che del clan di Porta Nuova sarebbe stato la testa di ponte milanese per il traffico di droga.

Porto a Milano era in contatto con altri due amici storici di Nicchi: Franco Scaglione e Michele Stagno, entrambi coinvolti nel colpo da sedici milioni di euro ai danni della gioielleria Casa Damiani di corso Magenta. Nel pc della compagna di Nicchi i carabinieri trovarono 54 fotografie che ritraevano scene di vita quotidiana durante le feste di Natale 2007. Tra le foto ce n’era una scattata dal balcone dell’abitazione di Pino Porto in via Lopez de Vega a Milano.

Gli ultimi a trasferire la propria base operativa nella città lombarda sono stati Angelo Chianello e Fabio Manno. Entrambi hanno scelto di diventare dei collaboratori di giustizia. Manno, soprannominato sette di denari, arrestato nel blitz Perseo del 2008, era il capo della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio. Era quasi naturale che nel 2006 iniziasse le sue scorribande milanesi. A Milano, infatti, nei lontani anni Sessanta, aveva vissuto lo zio, Gerlando Alberti, detto ‘u Paccarè, l’imperturbabile, pure lui deceduto, in un bell’appartamento in viale Monza. Erano gli anni del grande business del contrabbando di sigarette. All’ombra della Madonnina, Alberti, il boss venuto da Palermo a cui piaceva portare il Rolex sopra il polsino della camicia, fece il salto di qualità.

Manno incontrò i rampolli di casa Fidanzati, il cui capostipite Gaetano sarebbe stato arrestato alcuni anni dopo. Dove? A Milano, naturalmente. Lungo l’asse Milano -Palermo Tanino Fidanzati aveva a costruito la sua fortuna. Uomo del narcotraffico negli anni Settanta, capomafia dell’Acquasanta, tra i primi a capire che in terra meneghina si potevano fare soldi a palate.

Dopo la condanna al maxi processo lo arrestarono in Argentina dove Giovanni Falcone era volato per interrogarlo. Bocca cucita. Solo poche parole per dichiararsi prigioniero politico. Nel 2008 nella mafia che provava a riorganizzarsi c’era ancora una volta il suo zampino. Pochi mesi prima, in quello stesso anno, un commando di cinque persone massacrava a bastonate un tossicodipendente palermitano, Giovanni Bucaro, che aveva picchiato la figlia del capomafia, indicato come il mandante del delitto.

Ma Fidanzati, deceduto alcuni anni fa, era ormai latitanteIn carcere l’ultima volta c’era finito a dicembre 2009. Nello stesso giorno in cui a Palermo mettevano le manette ai polsi di Gianni Nicchi, Fidanzati veniva fermato a Milano. Sulla sua testa pendeva una nuova, l’ennesima, richiesta di arresto. Era nella centrale via Marghera, strada dello shopping. Agli uomini della Squadra mobile milanese disse di essere Augusto Ciano. Quando capì di non avere più scampo, dietro i suoi occhiali scuri, a goccia, chiese una sigaretta ai poliziotti. Anche loro stavano facendo shopping. Liberi dal servizio, ma quella faccia, la faccia d Fidanzati, non poteva passare inosservata. E chi c’era alla guida della Mobile? Alessandro Giuliano, figlio del defunto commissario di polizia, Boris, assassinato nel ’79, che aveva braccato proprio a Fidanzati.

 


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