PALERMO – “Volevo terminare questa cosa, perché stava diventando un circolo vizioso”. Così dice Dario Nicolicchia davanti al giudice e al pubblico ministero di Palermo che lo interrogano in cella. È rimasta solo un’intenzione perché gli incontri fra i presunti clienti e la baby squillo, che è accusato di avere fatto prostituire, sono proseguiti.
È lo stesso Nicolicchia a citare luoghi e nomi nel corso di un interrogatorio che non convince. Vuole scaricare sulla ragazza le responsabilità, ma è il racconto della minorenne che viene ritenuto, anche con il supporto dei medici, pienamente genuino. Alcuni clienti sono stati identificati. Per altri il lavoro dei poliziotti della Mobile non è ancora completato. Tra gli identificati c’è il “titolare sessantenne di un ristorante” e “il dentista che ce l’ha fatto conoscere l’avvocato”.
Fra chi non ha ancora un volto, invece, c’è l’uomo che fissò un incontro “al parcheggio dell’Addaura mi pare… eravamo in macchina e diciamo ha aperto lo sportello… siamo stati in macchina assieme”. Oppure “l’avvocato” di cui ha parlato la minorenne, senza specificare se sia un penalista o un civilista, che ha incontrato in un appartamento.
E poi ci sono personaggi non solo misteriosi, ma pure inquietanti:“… è andata da una persona in provincia di Agrigento… a Licata è andata… si vedeva con uno che poi ha mollato perché ha scoperto che adescava ragazzine e le faceva andare in un bed & breakfast di la e poi se ne è scappata via. Poi è stata anche a Milano…”.
Con Naomi, nome d’arte della sedicenne, Nicolicchia ammette di avere anche frequentato un sexy shop per comprare “intimo, gadget, oggetti vari”. Nicolicchia sapeva che allora “era minorenne”. Nega, però, che ci siano stati rapporti sessuali fra la ragazzina e i clienti con la mediazione del proprietario del negozio. Circostanza che non convince.
Così come dagli “atti” risultano rapporti omosessuali: “Sì, con una ragazza che – ammette l’indagato – abbiamo conosciuto in un locale… è di origine straniera… ”. Solo che agli inquirenti, però, risulta pure la partecipazione di una donna italiana, di cui conoscono l’indirizzo. Anche stavolta siamo nel salotto della città. Il suo numero è probabilmente fra i “mille contatti” e le “ventinove utenze” scoperte dall’analisi dei tabulati telefonici.
Le domande diventano insistenti. Il giudice e il pubblico ministero vogliono sapere se nel computer di Nicolicchia ci sia materiale che riguarda altre minorenni. Lui nega. Gli chiedono se ci siano altre persone non ancora identificate. Nicolicchia non ricorda. Ed invece, gli inquirenti hanno in mano la confessione di uno dei clienti, l’avvocato. Ha ammesso i rapporti e ha tirato in ballo il nome di un farmacista e di un’altra persona a cui avrebbe prestato il suo studio per gli incontri sessuali. Così come ha raccontato che, mentre faceva acquisti in un sexy shop, qualcuno gli fece vedere la foto di Naomi e gli diede il suo numero. Come dire: era forse Naomi che i clienti volevano, per la sua età e per le sue fattezze che ricordano le piccole donne giapponesi. Ci si chiede, però, se fosse davvero impossibile capire che dietro quelle fattezze si celasse una minorenne.
Altro capitolo da accertare: Nicolicchia potrebbe avere fatto circolare in rete i video dei rapporti sessuali della ragazza. Anche questa circostanza viene negata dall’imputato, ma le domande insistenti fanno intuire che sia molto più di un’ipotesi.