Messina Denaro, la "vedova bianca" e i boss di Bagheria

Messina Denaro, la “vedova bianca” e i boss di Bagheria

Perquisizioni dei carabinieri del Ros. Si torna a parlare di una donna del passato

PALERMO – Ci sarebbero dei contatti recenti. Qualcosa che ha riportato nel presente una figura del passato, Maria Mesi. È stata la compagna di Matteo Messina alla fine degli anni Novanta. Da allora gli investigatori mai hanno smesso di tenerla sotto osservazione perché la considerano una delle possibili pedine della rete di favoreggiatori del latitante. Ora è di nuovo indagata assieme al fratello Francesco.

Stamani la perquisizione a casa della donna e del fratello (in via Milwakee) e della loro attività – una torrefazione – ad Aspra. Le hanno eseguite in carabiniere del Ros, su ordine della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Sono stati sequestrati computer e cellulari. Nel 2000 furono entrambi condannati. Nei confronti di Maria Mesi cadde l’aggravante di mafia.

Aveva favorito Messina Denaro, ma il fatto che avessero una relazione sentimentale fece venire meno l’aggravante di avere agevolato Cosa Nostra. In sostanza aveva aiutato il suo compagno in quanto tale e non come mafioso.

Maria Messi non si è mai sposata. Una scelta di rispetto per quell’amore del passato mai dimenticato? Le indagini sulla latitanza impongono di non lasciare nulla al caso. Anche e soprattutto in virtù anche dei legami passati della Mesi con la famiglia di Filippo Guttadauro, marito di Rosalia, una delle sorelle di Messina Denaro, e fratello di Giuseppe Guttadauro, il medico e boss di Brancaccio.

Dal 2016 Filippo Guttadauro vive in carcere da internato al 41 bis. Ha finito di scontare la condanna, ma a coloro che, come lui, vengono considerati socialmente pericolosi viene applicata una ulteriore misura di sicurezza.

L’ergastolo “bianco” del cognato

Guttadauro è internato presso la “casa lavoro” di Tolmezzo. Un lavoro che in realtà in carcere non c’è. Di fatto manca lo strumento per valutare il comportamento del cognato di Matteo Messina Denaro e il suo status di viene mantenuto di proroga in proroga. In gergo carcerario viene definito “ergastolo bianco”. Una condizione che accetta in silenzio.

Il caso dell’ex assistente parlamentare

Le sorti di Guttadauro, secondo la Procura di Palermo, stavano particolarmente a cuore ad Antonello Nicosia, ex componente dei Radicali e condannato in appello a 15 anni per mafia. Le battaglie legittime del movimento in difesa dei diritti dei detenuti sarebbero divenute per Nicosia un pretesto per portare avanti gli interessi dell’organizzazione.

Aveva fatto da assistente parlamentare all’ex onorevole Giuseppina Occhionero. Ed insieme si erano recati nella casa circondariale di Tolmezzo, per fare visita a Guttadauro e poi proporre anche di presentare una interrogazione parlamentare, cosa che avvenne nel 2019, affinché il suo caso venisse affrontato.

Da qui l’accusa a Nicosia di avere contribuito alla catena di solidarietà in favore di Guttadauro, arrestato dalla polizia nel 2006. Era il numero 121 della corrispondenza di Bernardo Provenzano, il fedele boss che veicolava i pizzini fra il padrino corleonese e il latitante di Castelvetrano.

Il nido d’amore

Maria Mesi fu arrestata a giugno del 2000. Tre anni prima gli investigatori fecero irruzione nel nido di amore di via Millwakee (stessa strada dell’abitazione perquisita stamani, ma nuemro civico diverso). Troppo tardi, ma nel nascondiglio furono trovate tracce del capomafia: una consolle Nintendo, un puzzle incompleto, foulard di Hermes, del caviale del cibo austriaco.

All’epoca Maria Mesi era impiegata in un’impresa ittica di proprietà dei Guttadauro. Il fratello lavorava in un’impresa collegata a Michele Aiello, il re mida della sanità privata, condannato per mafia, a cui faceva capo la rete delle talpe alla Procura di Palermo. Maria Mesi inviava al latitante messaggi d’amore, alcuni dei quali trovati a casa di Filippo Gittadauro che le faceva da postino: “Vorrei stare sempre con te, ho pensato molto al motivo per cui non vuoi che viva con te e credo di averlo finalmente capito… Ti amo e ti amerò per tutta la vita, Tua per sempre Mari…”.

Ed ancora: “Avrei voluto conoscerti fin da piccola e crescere con te, sicuramente te ne avrei combinate di tutti i colori perché da bambina ero un maschiaccio”.

Le tante piste che portavano a Bagheria

Di Messina Denaro parlava fra il 2003 e il 2004 l’imprenditore Carmelo Fricano. Come ricostruì Livesicilia raccontava di avere autorizzato Filippo Guttadauro, cognato di Matteo Messina Denaro, ad aprire una concessionaria di auto a Bagheria, su indicazione di Leonardo Greco: “… a rapporto pure da lui veniva Messina Denaro… suo cognato, il fratello di Carlo mi venne a casa, dice… io voglio aprire la concessionaria… dice diglielo… io gli dissi… io non gli devo dire niente a nessuno… me la prendo io la responsabilità, la puoi aprire”. (Leggi: Il summit, la tomba profanata, l’omicidio: confessioni in diretta).

Il capomafia di Bagheria, Pino Scaduto, avrebbe addirittura detto di avere un contatto diretto con il latitante, che in zona era di casa. Almeno così hanno raccontato tre collaboratori di giustizia: Sergio Flamia, Benito Morsicato e Vincenzo Gennaro.


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