Si fa presto a dire ieri. E a scaricare sul passato l’attualità dei problemi. Ma spesso, anche quando le rivendicazioni hanno un fondamento, queste non bastano. Il presidente della Regione Musumeci, dopo il pesantissimo giudizio di parifica della Corte dei conti, l’ha buttata in corner come succede da due anni. C’è un problema? La colpa non è di chi c’è, ma solo di chi c’era.
Ma questa volta, il ritornello si scontra con alcuni fatti. Con i numeri. Contro la concretezza della realtà. E la questione non è certo quella di negare gli sfaceli del passato. È difficile che lo faccia questo giornale poi, che ha descritto nei suoi dieci anni di vita, fino a guadagnare reazioni d’ogni tipo, il malgoverno delle legislature passate. Gli errori delle giunte di Lombardo e di quelle variopinte di Crocetta. E che più volte ha buttato l’occhio anche più indietro, raccontando gli effetti sui conti siciliani dell’era di Cuffaro. Insomma, su questo siamo tutti d’accordo. L’eredità lasciata era pesante: un debito enorme che ha spinto i magistrati contabili in passato a parlare anche di un problema legato al rapporto con le future generazioni; una spesa pubblica che si è espansa anno dopo anno e che adesso non lascia margini alla fantasia; il proliferare del clientelismo, dell’assistenzialismo e persino l’invasione di interessi più o meno privati nella cosa pubblica.
Questo è noto. Ed era noto anche nel 2017, quando il presidente della Regione Musumeci ha deciso di candidarsi. E lo era quando ha accettato che a sostenerlo fossero partiti ed esponenti di spicco di quel passato. E lo era quando, dopo la meritata elezione, ha messo su una giunta “politica” di esperti. E lo era ancora di più quando esponenti della magistratura contabile avevano lanciato l’allarme in modo assai più concreto che in passato. È stato il caso ad esempio dell’ex procuratore generale Pino Zingale che nel 2017 per la prima volta nella storia della Regione chiese di non parificare il bilancio, fino a portare la questione a Roma, prima che l’operazione venisse “neutralizzata” dall’Ars che votò il rendiconto, piazzando un masso a coprire la bocca di un vulcano.
Nonostante tutto questo, le giustificazioni del governo Musumeci non bastano più. Anzi si scontrano frontalmente con alcuni fatti. Anche con quelli, recentissimi, contenuti nell’ultimo giudizio di parifica. Nei quali, giustamente, la Corte dei conti fa riferimento alla “pesante eredità”. Ma non si ferma lì. E a più ripresa bacchetta il governo e la gestione dei conti degli ultimi due anni. Lo fa ad esempio quando, riferendosi ai ritardi del passato afferma che a quei ritardi “se ne sono aggiunti altri”. Lo fa quando, con un tono brusco e quasi irrituale definisce la manovra finanziaria “inconsistente”. Cioè inutile, vuota. Lo fa quando tira le orecchie a una pubblica amministrazione che ha più volte ignorato i richiami della Corte, non ha fornito i doverosi chiarimenti, non ha risposto alle richieste avanzate nei mesi precedenti. Lo ha fatto, poi, andando ancora più alla sostanza, quando ha affermato, in pratica, che questo governo ha creato nuovo disavanzo, invece di ridurre quello che ha trovato. Lo ha fatto quando ha detto che la stessa Finanziaria regionale non ha centrato nemmeno gli obiettivi che lo stesso governo si era posto. Insomma, altro che passato ed eredità. I richiami sono presenti, attualissimi. Riguardano l’oggi, non i trent’anni precedenti.
Che poi, si fa presto a dire ieri. E diventa facile per tutti governare, facendo intendere che serviranno cinquant’anni per risolvere problemi vecchi di quaranta. Parlando di semina e di attesa. Quando oggi la questione si tradurrà necessariamente in tagli dolorosi, anche per le responsabilità di questo governo, come emerge chiaramente dalla Parifica.
Ma c’è un altro motivo per cui la narrazione di Musumeci si scontra con la realtà. Raccontare che prima c’era solo il marcio e che adesso è iniziata la “bonifica” non è coerente con le scelte di questa amministrazione anche nei nomi. Come si fa a dire che quel passato è radice d’ogni male, se poi da quel passato si è deciso di prendere i propri compagni di avventura politica e anche alcuni uomini chiave? Basti pensare all’ex assessore all’Economia di Lombardo (Gaetano Armao, oggi all’Economia), all’ex assessore alla Sanità di Cuffaro (Roberto Lagalla, oggi alla Formazione), a diversi ex manager della Sanità delle altre legislature, consulenti che tornano dai diversi passati, presidenti di società regionali rientrati nel sottogoverno, e persino ex assessori del governo di Crocetta sparsi negli uffici di diretta collaborazione dei “suoi” assessori. Prendere spunto dal passato non pare esattamente l’idea migliore per fare qualcosa di diverso dal passato.
Qui, insomma, il discorso deraglia. E adesso resta quantomeno una speranza. Che almeno il riferimento all’altro “risanamento” che il governo starebbe portando avanti, non si scontri con i fatti. Il presidente ha condannato – giustamente – di fronte ai magistrati della Corte dei conti, le abitudini al clientelismo nella cosa pubblica. Quel passato di favori, parentele nutrite dai soldi dei siciliani. Su questo almeno, non resta che augurarsi che questa Regione sia immune, in tempi difficili come questi. Immune, nei vari settori sorvegliati dalla politica: dalle Aziende sanitarie ai gruppi dell’Ars, dalle società regionali alle ditte private che collaborano con la Regione. Altrimenti svanirebbe anche l’ultima differenza tra ieri e oggi.