Pur apprezzando e stimando Leonardo Sciascia per la sua opera letteraria e per il suo impegno civile, non ho esitato un attimo a prenderne le distanze, con una lettera aperta sul “Giornale di Sicilia”, quando, riferendosi a Paolo Borsellino, che aveva ottenuto il posto di Procuratore Capo della Repubblica di Marsala, scavalcando un collega più anziano di lui, usò l’espressione di “professionisti dell’antimafia”.
Anche anni prima, in occasione del rapimento di Aldo Moro, quando si chiese a tutti di prendere chiara posizione contro i terroristi, lo scrittore recalbutese aveva incautamente dichiarato che non era “né con lo Stato né con le brigate rosse”. D’altronde non si può pretendere dagli intellettuali, che spesso assumono la funzione di provocatori per scuotere la coscienza pubblica della gente, una coerenza logica che invece viene richiesta ai politici.
Appena insediatosi a Marsala, Paolo Borsellino aderì agli inviti che periodicamente gli rivolgevo di venire a parlare con i miei studenti, durante le varie iniziative che ogni anno portavo avanti per la formazione di una coscienza civile e democratica. Ancora oggi alcuni di loro mi scrivono e mi dicono che ne ricordano il messaggio che li invitava a scegliere la bellezza della cittadinanza libera e consapevole contro il puzzo del compromesso che li condannava a essere servi e sudditi. Ricordava Paolo Borsellino i suoi quattordici anni, quando a scuola non solo non si parlava di mafia, ma si guardava il figlio del mafioso con rispetto. Diceva di avere fiducia nelle nuove generazioni perché solo attraverso la loro presa di coscienza era possibile sconfiggere quella subcultura, quella “mafiosità”, che rappresenta il brodo di coltura dove alligna e cresce la mafia. Si scusava, senza arroganza e supponenza, di non potere smettere di fumare e, tra una sigaretta e l’altra, rispondeva con chiarezza socratica, senza rinunciare a qualche battuta in siciliano, alle domande degli studenti, toccando il loro cuore e illuminando le loro menti.
Per questo l’ho pianto e continuo a piangerlo, superando i momenti di crisi e di sconforto anche per onorarne la memoria. Ricordo (dal latino “re=indietro” e “co=cuore”, cioè “richiamare in cuore”) non è memoria, ma richiamare nel presente del cuore e del sentimento qualcosa che non è più qui e che però, per il solo tornare in cuore, rivive. E’ la possibilità di consultare il passato, d’interrogarlo, di distendercisi ancora, non per fuggire malati di nostalgia, ma per capire ed essere capaci di cura e di responsabilità nel presente e nel futuro. Per non perdere qualcuno che è uscito dalla nostra vita.
Il miglior modo di ricordare Paolo Borsellino è quello di portare avanti la sua lotta contro la mafia e la mafiosità, lottando per vivere in una società dove a tutti e a ciascuno venga riconosciuta la dignità di uomo e di cittadino e non in un paese dove la mafia regna sovrana.