Braccio di ferro tra Renzi e Crocetta | Ecco la posta in gioco - Live Sicilia

Braccio di ferro tra Renzi e Crocetta | Ecco la posta in gioco

Le parole di Crocetta su Baccei. Il silenzio del Pd. Il rischio che la rivoluzione si trasformi in restaurazione. E la tentazione del premier: commissariare la Regione, se non arriveranno le riforme.

PALERMO – Doveva essere il presidente della rivoluzione. Invece rischia di essere ricordato come il governatore che voleva difendere fino all’ultimo, sprechi e privilegi, cerchi magici e nomenklature burocratiche. A disegnare la retrocessione di Rosario Crocetta nella folta schiera dei “vecchi arnesi” è proprio il suo partito. E stavolta le liti con gli oppositori annidati nelle retrovie cuffariane, o con i cattivoni dei cuperliani, o con gli “impresentabili” che il governatore smascherò quando erano già stati smascherati, non c’entrano nulla. Stavolta è il Pd di Matteo Renzi, Graziano Delrio e Davide Faraone a tentare di cambiare verso alla storia siciliana. E’, insomma, l’altro governo. Quello che da Roma ha inviato un proconsole a gestire le finanze dell’Isola. Nonostante le proteste di Crocetta.

Il “caso” Baccei e il silenzi del Pd siciliano

Nei prossimi giorni Faraone incontrerà sia il premier che il suo sottosegretario. Le parole del governatore nei confronti di Baccei hanno aperto un nuovo “caso Sicilia” nel Pd. A Roma l’impressione oggi è chiara: non si vuole cambiare davvero. Altro che rivoluzione. E il braccio di ferro in atto, prima o poi, è destinato a precipitare. Come il braccio del perdente, alla fine del confronto. Da ambienti vicini all’assessore Baccei si descrive un clima da trincea. Asserragliato negli uffici di via Notarbartolo, l’assessore all’Economia proverebbe a districarsi nel disastro dei conti siciliani senza il reale sostegno di nessuno. Un corpo estraneo.

Nonostante quell’assessore l’abbia scelto il Pd. Quello di Roma, non quello di Sicilia, ovviamente. Ma pur sempre il Pd. E l’isolamento di Baccei, raccontato da chi gli sta vicino, è tutto nel silenzio dei democratici dell’Isola. Un silenzio che non è piaciuto affatto a Matteo Renzi. Un silenzio che paradossalmente è diventato assenso verso le parole con le quali Crocetta ha ritenuto di dovere prendere le distanze dal “suo” assessore. Parole poi addolcite. Come spesso accade. E quando è ormai troppo tardi. Per l’area che fa capo a Delrio e Faraone, infatti, quelle frasi appaiono ancora più gravi perché inserite in un contesto di delegittimazione strisciante. Tanto che Renzi, Delrio e Faraone si dicono pronti “a riprenderselo, Baccei” se in Sicilia si scontrerà con ostilità e indifferenze.

Le riforme  che non piacciono a Crocetta (e ai suoi consiglieri)

Baccei avrebbe il difetto di essere, appunto, non solo straniero (per chi, come Crocetta, considera la Sicilia una nazione) ma estraneo. E indifferente, ad esempio, alle influenze dei più stretti collaboratori del governatore. Che pare non lo amino. Anche perché le sforbiciate previste dall’economista, rischiano di toccare arterie portanti e nervi scoperti. Quelli che irrorano potere e consenso, elettori e clientele. Dentro e fuori dal palazzo. Dirigenti regionali e precari. Forestali e partecipate. Interventi che non piacerebbero alle due “ali” di Crocetta. I tagli alla burocrazia, infatti, sarebbero ostacolati, questo è il sospetto del Pd nazionale, da chi la burocrazia la guida e che si è sempre speso per il mantenimento dello status quo (un fatto condito dal paradosso che a guidare l’ente di concertazione con i regionali, cioè l’Aran, sia proprio il marito del Segretario generale). E non è un mistero di quanto le opinioni di Patrizia Monterosso siano tenute in considerazione dal presidente. Mentre si riaccende la diffidenza, tutta interna al Pd, con “l’altro” braccio destro del governatore: il senatore Giuseppe Lumia, eminenza grigia del governo regionale che non gradirebbe le ingerenze romane.

Senza riforme strutturali, non si apre nemmeno il tavolo con Roma” ha detto Baccei del resto nel corso della sua recente conferenza stampa, che non è piaciuta al presidente. Un monito che viene pienamente confermato da Roma. “La linea del Pd – ha detto Faraone – è quella di Baccei”. Non quella di Crocetta. Non quella di chi consiglia il governatore. I governi, del resto, ormai sono due. Uno contrapposto all’altro: di qua quello che fa capo alla linea del rigore; di là quello che vede nell’austerità dei conti addirittura il “rigor mortis”.

Lo scontro è palese. Se, infatti, l’economista con il suo allarme sui conti (“Se il governo nazionale non ci darà una mano, da maggio rischiamo di non poter garantire nemmeno gli stipendi”) ha scatenato la reazione per nulla pacifica di Crocetta alla vigilia di Natale, altre tensioni sono latenti. Per esempio, l’assessore alla Funzione pubblica Marcella Castronovo, al di là delle vicende personali, non sembrava così incline ad assecondare alcuni consigli del Palazzo. E adesso sembra pronta a lasciare. Il nodo è sempre lo stesso: dal bilancio e dal personale passano le questioni più spinose. I prepensionamenti dei regionali, l’abbattimento dei salari, l’abolizione della clausola di salvaguardia, i provvedimenti nei confronti dei Forestali, dei precari. Crocetta deve decidere se essere il presidente dei Pip o dello sviluppo, fanno intendere da Roma. Non solo: Renzi, Delrio e Faraone si attendono una immediata soluzione del “caos Province”, con l’adeguamento al decreto del sottosegretario alla presidenza e già applicato nel resto d’Italia. Interventi che erano già stati elencati, in uno dei suoi “decaloghi”, non a caso, qualche mese fa dallo stesso Davide Faraone, cuore e anima dell'”altro governo”, quello che punta sul rigore di Baccei e non sulla cosiddetta rivoluzione di Crocetta. Un governo che ha scelto il pm Contrafatto per gestire l’altro “tema dei temi”. Quello dei rifiuti e delle discariche. L’assessore, nei giorni scorsi, ha sottolineato la propria sintonia col governatore. Sarà. E’ certo però che il governatore non mostra di essere in sintonia con l’altro Pd, quello nazionale. Il quale non perde occasione per ribadire la propria idea sul tema del commissariamento: in ogni caso decideremo noi sia sul “come” sia sul “chi”.

La tentazione di Renzi

Mentre pende sul capo di un’intera classe politica la solita mannaia. Che per una volta appare qualcosa di più di una semplice suggestione. Se la Sicilia non metterà in campo le riforme chieste da Baccei, non si aprirà nessun tavolo di concertazione con Palazzo Chigi per ripianare un buco di bilancio che ormai supera di molto i  due miliardi. E in ambienti vicini a Renzi, Delrio e Faraone è forte, oggi, il timore che Crocetta possa chiedere a Baccei di “rivedere” le entrate in bilancio, per sistemare i conti. Una richiesta alla quale l’assessore non si piegherebbe. Anche a costo di tornarsene a Roma. Ma a quel punto la Sicilia dovrà farcela da sola. A partire dal primo maggio, quando scadrà l’esercizio provvisorio e Renzi potrebbe cedere alla tentazione di commissariare sui conti, e per la prima volta nella storia, una Regione. A quel punto la testa mozzata della Trinacria sarebbe, per il giovane Presidente del Consiglio, un trofeo da mostrare all’Europa come segno di una rinnovata capacità di governare secondo rigore e serietà. Una decisione, quella del commissariamento, che finirebbe per bollare il governatore della Sicilia come un incallito e irriducibile “sindacalista di sprechi e privilegi”. Altro che il presidente della rivoluzione.


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