Roberta Siragusa "arsa viva" dal'ex che poi giocò alla PlayStation

Roberta Siragusa “arsa viva” dal suo carnefice che poi giocò alla PlayStation

Depositate le motivazioni della condanna

PALERMO – Tutti i motivi del ricorso contro la condanna sono stati giudicati inammissibili. La ricostruzione di primo e secondo grado era granitica e la Cassazione ha confermato la condanna all’ergastolo inflitta a Pietro Monreale per l’omicidio di Roberta Siragusa.

“Spirito possessivo”

La Prima sezione (presidente Giacomo Rocchi, relatore Gaetano Di Giuro) ha depositato la motivazione della sentenza dello scorso luglio. Morreale era accecato dalla gelosia. Il suo “spirito possessivo estremo” lo trasformò in un assassino capace di un omicidio crudele e premeditato.

“Capace di intendere e volere”

Secondo i supremi giudici, innanzitutto l’imputato “era pienamente capace di intendere e volere” quando la sera del 23 gennaio 2021 uccise Roberta a Caccamo, in provincia di Palermo. La vittima aveva 17 anni.

Non fu l’improvvisa conseguenza, come ha sostenuto la difesa, dello “stress psico-emotivo” dovuto al fatto di avere scoperto che l’ex fidanzata diciassettenne avesse una nuova relazione sentimentale. Lo sapeva da tempo.

Né la “confusione psicofisica” mostrata durante le detenzione in carcere può essere considerata la spia di un malessere che esisteva già al momento del delitto. Piuttosto è la “normale ansia” in cui piomba un giovane di 19 anni che si ritrova in carcere.

“Roberta Siragusa arsa viva”

Nel merito la difesa ha provato a smentire la tesi dell’omicidio, partendo dal drammatico video in cui si vede il corpo della povera Roberta prendere fuoco dopo essere stata cosparso di benzina. Secondo la difesa, non sarebbe “visibile la miccia ipotizzata dall’accusa percependosi soltanto l’esplosione della fiammata”.

La Cassazione ha confermato la drammatica ricostruzione: “Roberta Siragusa, già tramortita da alcuni colpi violentemente a lei inferti al viso da Monreale, caduta al suolo sulla piazzola all’interno del complesso sportivo di Caccamo, cosparsa di benzina, era stata deliberatamente arsa viva. La fiammata si è propagata con l’effetto miccia lungo una scia di carburante che Monreale ha linearmente sversato al suolo”.

“Il corpo si tramutò in un’ardente mortale sfera di fuoco. Non si sarebbe trattato né di suicidio né di una tragica fatalità”, sostenne l’accusa smentendo la tesi di Morreale che la ragazza aveva tentato di togliersi la vita o di farlo spaventare.

Morreale colpì al volto Roberta (il giovane praticava kick boxing) mentre era seduta in macchina, non chiamò i soccorsi ma “si recava col padre e un avvocato alla stazione dei carabinieri solo alle 9:00 del 24 gennaio, sei ore dopo la morte di Roberta alcune delle quali passate in casa a confrontarsi con i propri genitori”.

“Uccise Roberta e giocò on on line”

“Non chiama i soccorsi piuttosto indugia, fa scomposti i giri in auto quando Roberta è morta da pochi minuti – scrivono i giudici -, manda un messaggio all’amico mostrandosi tranquillo e chiedendogli da lì a poco di trovarsi on line per giocare alla PlayStation e finalmente rientra alle 3:36 dopo essersi liberato il corpo della ragazza iniziando a mandare per provare a depistare vari messaggi in particolare verso il cellulare di Roberta che sapeva morta”.

I vestiti che Pietro indossava quella sera non sono stati più trovati, così come il cellulare della povera Roberta “la cui memoria era probabilmente custode di prove ulteriori”. In alcune confidenze fatte ad un agente della polizia penitenziaria il ragazzo disse che erano stati in parenti ad aiutarlo a disfarsi dei vestiti.

La gelosia e la violenza “risultano provate in modo schiacciante e conclamato” Morreale aveva un “senso patologico del possesso, insofferenza verso gli spunti di libertà dalla vittima, pregressi episodi di violenza fisica”. Doveva essere sua o di nessun altro. I carabinieri e la Procura hanno ricostruito un precedente tentativo di strangolarla.

In un anno la giovane subì 33 aggressioni. Ne parlava con un amico a cui mandava anche le foto dei segni sul corpo.

L’imputato dovrà risarcire le parti civili e pagare le spese processuali delle parti civili: la madre di Roberta, Iana Brancato, il padre Filippo Siragusa, il fratello Dario, la nonna Maria Barone, assistiti dagli avvocati Giovanni Castronovo, Giuseppe Canzone, Sergio Burgio e Simona La Verde.


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