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Caccia all’abuso

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Toh, è arrivata la legge sulla spiaggia di Mondello. In una città zeppa di bar che s’allargano su capanne, casupole e baracche pomposamente chiamati gazebo, piantati fra marciapiedi e strade anche minuscole ma rigorosamente “senza governo”, nessuna autorità si sorprende dell’abuso spesso agevolato con tanto di bolli virtualmente a posto. Mentre si è solerti a intervenire per la piattaforma sul mare di Mondello Valdesi che andava smontata in inverno perché qui l’estate deve finire a settembre, secondo il calendario di apparati amministrativi, investigativi e giudiziari un po’ distratti su altri fronti.

Qualcuno aveva già considerato a Sciacca un abuso edilizio anche la buca del green in riva al mare, l’ultima buca del campo da golf del Rocco Forte Hotel. Sì, una buca con il prato tutto intorno, indicata come abuso edile. Stando al vocabolario, l’idea di “costruzione” dovrebbe corrisponde a qualcosa che si eleva da terra verso l’alto per qualche metro, o qualche piano, come succede a centinaia di migliaia di orrendi caseggiati capaci di sfregiare le nostre coste.

Al contrario, risulta acrobatico definire “costruzione” una buca che si inabissa (sic!) per dieci centimetri sotto il pelo dell’erba. Eppure, di questo si discusse fra avvocati e deputati, notabili e magistrati per mesi e mesi due anni fa, anche con strumentali stop and go in Assemblea regionale, sempre con lo spauracchio della denuncia alla magistratura, angoscioso approdo di ogni questione civile, sociale, politica. Ovviamente, ogni volta piegando l’idea del diritto in modo strumentale all’interesse personale, al vantaggio di gruppo, al ricatto o al veto incrociato per strappare qualcosa, per trattare, per guerre di carte e parole, utili a conseguire obiettivi spesso miseri.

Sembra storia di lana caprina, ma su questa idiozia della buca sul mare mister Forte si bloccò a lungo e all’Assemblea litigarono per correggere con una leggina banale una norma equivoca in modo da evitare che la magistratura fosse “obbligata” ad intervenire.

Non mi sognerò mai di protestare contro un magistrato che applica la legge, perché questo è il suo dovere, ma a volte verrebbe voglia di fondare un movimento per l?abolizione del principio della obbligatorietà dell’azione penale. Anche per costringere gli apparati investigativi e giudiziari a usare una discrezionalità in linea col buon senso.

Come non mi sembra che stia accadendo su un?altra spiaggia dove, nessuno si offenda, manca proprio buon senso e credo maturi la stessa idiozia giudiziaria e amministrativa di Sciacca. Parlo di Mondello Valdesi, la spiaggia per anni sotto mira di ambientalisti, volenterosi cittadini senza titoli, qualche giornale, tutti decisi a battersi per eliminare un’orrenda cancellata e quel muro di legno che in estate, con una vergognosa sequenza di casette chiamate cabine o capanne, impedisce la vista del mare a chi passeggia.

Mi sto soffermando su un particolare di una vicenda più complessa, senza entrare nel merito della recente richiesta di decadenza della concessione per la spiaggia gestita dalla società “Italo Belga”. Misura da alcune parti invocata anche in seguito alla rivoluzione che riguarda lo storico stabilimento balneare, le cosiddette Terrazze, con la defenestrazione del “Charleston”, il glorioso ristorante legato al nome di un grande chef come Carlo Hassan. Materia ostica che ha determinato perfino interrogazioni al Senato per capire se la concessione è regolare, se l’uso dello stabilimento è legittimo.

E’ sempre stata una lotta dura e perdente quella contro i vertici della società concessionaria alla quale il Comune ha rinnovato la convenzione sotto qualsiasi sindaco.

E la società, controllata dalla famiglia Castellucci, alla fine, qualcosa ha ceduto. Meno di quanto avrebbe dovuto, credo, a una comunità amministrata da sindaci e assessori da cinquant’anni fin troppo disponibili. Ma ha cominciato eliminando un pezzo di cancellata, riducendo le cabine, ampliando gli spazi di spiaggia attrezzata e, infine, installando proprio nel cuore di Valdesi una piattaforma che consente di godersi il mare anche per un aperitivo o un panino senza “capanne” davanti, guadagnando la vista di questa oasi che è meglio delle Maldive quando si lasciano acqua e litorale puliti.

Io preferirei una Copacabana interamente liberata dalle cabine. Magari con tre o quattro lidi attrezzati e il resto aperto a tutti. Magari con qualche piattaforma come quella di cui stiamo parlando.

Ed è per questo che, mi pareva, fosse accaduta finalmente una cosa buona. Me ne ero reso conto a dicembre, sotto Natale, quando in un mattino assolato mi ero ritrovato con un paio di amici a sorseggiare un aperitivo su quella piattaforma, assaporando il profumo di una laguna azzurra goduta ancor più che in una domenica estiva. E quasi mi sarebbe venuta voglia di ringraziare il padrone che non conosco, senza immaginare di diventare in quel momento suo complice. Già complice di un reato determinato dalle mie chiappe poggiate su una poltroncina collocata sulla pedana ritenuta adesso “illegale”.

Perché l’amministratore delegato della “Italo Belga”, Giovanni Castellucci, è proprio finito sotto processo, rinviato a giudizio per abusivismo edilizio. Un po’ come per la buca di Rocco Forte. Stavolta non perché ha “costruito” la piattaforma, che risulterebbe autorizzata. Ma perché non l’ha smontata a fine stagione, a settembre, secondo un verbale redatto da solerti investigatori, secondo un fascicolo esaminato da un pubblico ministero che non se l’è sentita di inferire chiedendo l’archiviazione, ma trovando dall’altra parte un giudice (il gip) inflessibile. Di qui il rinvio a giudizio con un processo che dunque s’ha da fare. Giusto per perdere tempo e confermare l’idiozia di un sistema che avrebbe dovuto portare per una volta a ringraziare Castellucci, non a perseguirlo e a perseguitarlo. Magari incoraggiandolo a estendere le pochissime aree libere e quelle attrezzate, pedane comprese. Anche a gennaio.


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