PALERMO – Cambia il capo di imputazione. Cade l’accusa di corruzione per l’amministratore giudiziario Aulo Gigante, per il quale, al termine della requisitoria, sarà chiesta l’assoluzione.
L’avvocato Gigante, difeso dagli avvocati Enrico Tignini e Luca Sammarco, non avrebbe corrotto Silvana Saguto, ma sarebbe stata l’ex magistrato a costringerlo “a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità anche di natura non patrimoniale”. Gigante dunque, secondo i pubblici ministeri Maurizio Bonaccorso e Claudia Pasciuti, sarebbe stato “vittima” dell’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, sotto processo e radiata dalla magistratura per la mala gestio dei beni sequestrati.
Secondo la ormai vecchia impostazione accusatoria, Gigante avrebbe assunto il figlio della cancelliera e amica di Saguto, Dorotea Morvillo, nell’amministrazione dei beni della famiglia Niceta che le erano stati affidati dal Tribunale.
Furono le microspie piazzate dai finanzieri nella stanza del magistrato al Palazzo di giustizia di Palermo a svelare l’episodio. Un giorno di agosto Gigante incontrò Saguto che gli chiese: “… senti qua per Vincenzo avremmo trovato probabilmente un posto adesso, nell’amministrazione Virga dove lui può essere preso intero, però c’è una persona che io voglio presa in cambio… il figlio di… la conosci… il cancelliere… questo ha esperienza… ha fatto fallimenti”.
Ecco la richiesta di piazzare il figlio del funzionario giudiziario. Gigante prende tempo: “… il problema è che siamo in grosse difficoltà… mi devi dare tempo sino a dicembre, a dicembre io so se siamo vivi o morti”. Saguto: “… ma temporaneo non lo potresti prendere?… se io non trovo di meglio subito lo prendiamo temporaneo al posto di Vincenzo appena Vincenzo lo mettiamo… incomprensibile… è bravo, ha fatto fallimenti come curatore”.
Gigante tornava a parlare delle sorti della catena di negozi di abbigliamento che addebitava alla gestione dei proprietari: “… ci salviamo riducendo i costi, malgrado Massimo Niceta… vabbè comunque organizziamoci… lo facciamo”. Era un cattivo presagio, visto che durante l’amministrazione giudiziaria tutti i negozi del gruppo sono stati chiusi. Ed è proprio alla gestione Gigante che i Niceta, al contrario, fanno risalire per intero le responsabilità per le chiusure a cascata. I beni sono stati infine dissequestrati, ma le aziende non esistono più.
Nel corso del suo interrogatorio in aula Gigante spiegò che non poteva dire di no al giudice delegato della procedura. Una sorta di stato di costrizione che, secondo i pm, farebbe scattare l’ipotesi di concussione per Saguto.