Calatafimi, Assunzioni, favori e condanne: c'era la fila davanti al boss

Assunzioni, favori e condanne: c’era la fila davanti al boss

Vent'anni al capomafia che aveva fatto carriera

PALERMO – L’elenco dei condannati si apre con Nicolò Pidone. Ha avuto 20 anni in continuazione con una precedente condanna. Il suo non è un nome nuovo nei processi per mafia. Quando lo arrestarono, nel dicembre 2020, era uno dei tanti scarcerati tornati in prima linea. Coinvolto in un blitz nel 2012 era stato scarcerato per fine pena nel 2017. Secondo l’accusa, aveva fatto carriera.

Davanti al giudice per l’udienza preliminare ieri ha retto la ricostruzione della Dda di Palermo, secondo cui Pidone era il capo della famiglia di Calatafimi-Segesta, mandamento di Alcamo.

Queste le pene inflitte dal Gup Paolo Magro: Tommaso Rosario Leo 13 anni, Gaetano Piacenza 8 anni e 8 mesi, Domenico Simone 3 anni, Ludovico Chiapponello 2 anni e 6 mesi. Assolti Andrea Ingraldo (difeso dall’avvocato Antonio Ingroia) e Vincenzo Ruggirello (difeso dall’avvocato Jimmy D’Azzò).

Anche Rosario Tommaso Leo era già stato condannato per mafia. Faceva riferimento ai boss vicini a Gondola Vito e a Sergio Giglio, uomini chiave della rete di pizzinari di Matteo Messina Denaro e della rete di protezione della latitanza dell’ergastolano Vito Marino, arrestato dalla polizia nel 2018.

Tra coloro che avrebbero favorito gli incontri e le comunicazioni con Pidone ci sarebbe stato anche l’imprenditore agricolo Simone Domenico, di Vita. Nello stesso blitz del Servizio centrale operativo della polizia di Stato, delle squadre mobili di Palermo e Trapani furono coinvolti altri insospettabili, tra cui Salvatore Barone, ex presidente dell’azienda del trasporto pubblico di Trapani e di una cantina vitivinicola. Fu scarcerato due settimane dopo l’arresto, in seguito all’interrogatorio di garanzia. Pidone avrebbe preteso da Barone assunzioni e agevolazioni all’interno della cantina sociale Kaggera.

Pidone, attraverso il suo uomo di fiducia, Gaetano Placenza, di professione allevatore, avrebbe ottenuto delle assunzioni per sostenere economicamente le famiglie dei detenuti mafiosi, ma anche soldi per aiutare gli esponenti di Cosa Nostra, aggirando le norme statutarie della cantina.

L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Francesca Dessì e Pierangelo Padova, fece emergere pesanti ombre sulla campagna elettorale del sindaco Antonino Accardo che, ricevuto l’avviso di garanzia, decise di dimettersi. Ad un elettore sarebbero stati promessi 50 euro per ogni voto che avrebbe procurato. Gli diedero dei volantini precompilati.


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