PALERMO – Restano agli atti il caos politico, il forte sospetto della falsificazione dei moduli per l’accettazione della candidature e un “clima di omertà diffuso”. Tutti elementi che, però, non servono a ipotizzare reati penali. Ecco perché la Procura della Repubblica ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta su alcune presunte irregolarità alle elezioni amministrative di Palermo del 2017.
I telefoni erano intercettati e c’erano pure le microspie al comitato elettorale del candidato a sindaco di Palermo, Fabrizio Ferrandelli, in piazza Luigi Sturzo. Sì stava indagando sulla base delle dichiarazioni di un pentito il quale aveva sostenuto che Ferrandelli avesse stretto un patto sporco per pescare voti al Borgo Vecchio. L’inchiesta è stata chiusa da tempo con un nulla di fatto dopo che la stessa Procura, anche allora, aveva chiesto l’archiviazione. Il politico ha sempre respinto con sdegno il suo accostamento agli ambienti mafiosi.
Era rimasta in piedi l’indagine bis partita dalla V circoscrizione “Borgo Nuovo – Uditore Passo di Rigano – Noce – Zisa”. Poco prima del voto la coalizione di centrodestra si spaccò sul candidato alla presidenza. Si era deciso di appoggiare Paolo Di Maggio di Forza Italia. Ci fu, però, “una presa di posizione della deputata regionale Ester Bonafede” che portò ad un cambio in corsa. Il candidato divenne Andrea Aiello, il quale riuscì a essere eletto solo come consigliere di circoscrizione.
“Tale repentino mutamento – si legge nella richiesta di archiviazione – implicava intuibili difficoltà operative, dovendosi procedere entro un risicatissimo margine temporale all’adeguamento della documentazione già predisposta dai membri del comitato elettorale di Fabrizio Ferrandelli perché venisse allegata a correndo delle singole candidature”.
Ferrandelli e i suoi collaboratori erano stati “letteralmente risucchiati in una vorticosa sequenza di eventi inaugurata dagli iniziali propositi bellicosi manifestati da Ferrandelli nei confronti di Bonafede, successivamente scandita da ripetuti tentativi di mediazione posti in essere ad autorevoli esponenti di centrodestra (si pensi fra tutti agli interventi di Gianfranco Miccichè e Francesco Scoma) ed infine terminata con una rinnovata convergenza sul nominativo di Aiello”.
Le intercettazioni non registrarono “Ferrandelli, Gianluca Casmiro Galati (emissario di Micciché) e Salvatore Alotta (collaboratore di Ferrandelli) impartire ai loro collaboratori univoche istruzioni, né con riferimento alla contraffazione di singoli moduli, né in reazione alla falsificazione di blocchi di documenti individuabili con ragionevole certezza”.
Sono stati interrogati gli indagati “Valentina Catanzaro, Francesca Leone, Roberto Lannino, Serena Antioco (membri del comitato elettorale), Carmelinda Moceri e Gabriele Bruno (collaboratori di Bonafede) ma nessun apporto conoscitivo degno di menzione è stato fornito”. Anzi, “in un clima di diffusa omertà si sono ben guardati dal chiarire se i reati ipotizzati a loro carico siano stati ispirarti da terzi”. Il riferimento è alla falsificazione dei moduli accettazione delle candidature. I consiglieri comunali autenticatori hanno riconosciuto la paternità delle firme. Alcuni falsi, secondo i pm, appaiono certi per le candidature alla circoscrizione, ma in questi casi non si applica la più severa normative per le Comunali. Da qui la richiesta di archiviazione.