E’ incredibile come la vita diventi storia per accedere alla freddezza delle cose di cui tutti sanno tutto, senza ricordare niente. Era lì, accanto a te, un attimo fa con la sua carne e il suo sangue. Ora è già incastonata in una freddezza che la rende trasparente, via via che asciuga le emozioni.
Ma io me li ricordo Biagio Siciliano e Giuditta Milella, morti nella strage del liceo Meli, il 25 novembre 1985, quando una macchina di scorta piombò sulla fermata davanti alla scuola.
Mi ricordo di Biagio con i baffetti della pubertà, il vestito impeccabile e il bagaglio educativo responsabile di una famiglia perbene e operosa – papà operaio, mamma casalinga – che aveva mandato il figlio al classico. Mi ricordo di suo padre che gridava e cominciava a morire – sarebbe mancato qualche anno dopo – nell’obitorio di un ospedale accanto al corpo del suo ragazzo. Mi ricordo della mamma di Biagio, una signora composta e dignitosa che parlava di lui, di quanto fosse buono e generoso e del gatto Raimondo che aspettò invano il ritorno del suo compagno di giochi, fino a morirne di crepacuore.
Mi ricordo di Giuditta, del suo sorriso, di suo papà, vicequestore della polizia, di sua mamma. Entrambi pregarono che la figlia non morisse mentre lottava in una stanza del Civico, la stessa stanza – che fili strani muove il destino – in cui il padre era stato ricoverato qualche tempo prima. Non furono esauditi. E mi ricordo della stanza di Giuditta, nella sua casa di sempre, tabernacolo intoccato della felicità. Le sue ultime parole sono lì, scritte con un gessetto sulla lavagna.
Da adesso Biagio e Giuditta riposano nel Giardino della memoria ‘Quarto Savona Quindici’ (era il codice della scorta di Falcone) a Capaci. Tina Montinaro, moglie di Antonio, il caposcorta del giudice, e i suoi figli hanno voluto che fosse piazzata laggiù una panchina che porta i loro nomi. C’è stata una breve e commossa cerimonia. La carezza sui lividi di un dolore immenso da parte di chi un immenso dolore ha conosciuto. Il giardino si trova proprio sotto il tratto di autostrada sventrato quel 23 maggio.
Troppo poco per smagliare i fili di un destino? La memoria è questo: l’insufficiente e assordante battito del nostro cuore. Non restituisce né corpi, né volti, né abbracci. Ma toglie il ghiaccio alla vita che è stata vissuta. E la riporta, per un attimo, vicino a coloro che amarono e che furono amati, prima che tutto andasse perduto.

